Coronavirus e Erasmus: un’occasione perduta?

Il programma di mobilità Erasmus è cresciuto nel tempo e rappresenta da anni un punto di forza dei progetti di integrazione europea. Ho la fortuna di occuparmene in prima persona grazie al lavoro che svolgo nel mio dipartimento e vedo ogni anno l’entusiasmo con cui tanti giovani partecipano ai bandi, partono per tante città europee, arrivano da tante università diverse e vivono con emozione l’occasione che viene offerta loro di fare un’esperienza di vita all’estero…un’esperienza durante la quale, diciamo la verità, contano sì i corsi che seguiranno e gli esami che affronteranno, ma vale molto di più il bagaglio di conoscenze che si acquistano sul piano umano, il contatto con una cultura diversa dalla propria, le competenze linguistiche acquisite.

Insomma, vivendo in prima persona le dinamiche di questo grande progetto, mi sono convinta con il tempo che si tratta di un grande strumento di integrazione e un formidabile motore nella costruzione di un popolo di giovani europei.

Ed è proprio perché credo nelle potenzialità di questo progetto e credo che le occasioni non vadano mai sprecate che in questi giorni ho vissuto con un certo disagio il silenzio e l’assenza dell’Europa…anche in questo settore. So perfettamente che può sembrare un aspetto minimo rispetto al cataclisma che si sta abbattendo sui nostri Paesi. Ma lo è solo all’apparenza: parliamo, in realtà, della vita di migliaia di ragazzi, che hanno lasciato le loro case, che sono stati affidati dai loro genitori a un sistema che a un certo punto mi pare non sia stato all’altezza delle aspettative…almeno delle mie.

La verità, infatti, è che per quel che riguarda la gestione dell’attuale crisi il programma europeo Erasmus, e con esso tutta l’Unione, ha perso una grande occasione. Non sta a me dire se ha fatto poco o niente. Ha fatto probabilmente quel che un ente deve fare dal punto di vista burocratico, ma era davvero solo lo svolgimento dei compitini a casa che ci aspettavamo da coloro che da anni puntano su un programma ambizioso che non ha evidentemente come fine il far viaggiare i nostri ragazzi, ma vuole costruire un nuovo modello di gioventù europea?

Davanti all’emergenza, ci sono state delle risposte, ma non sono state sempre chiare né coordinate su tutto il territorio europeo, con il risultato di scaricare sulle singole università la responsabilità di decidere sul da farsi; inoltre non è stato dato un messaggio rassicurante che sapesse far avvertire la presenza dell’Europa a istituzioni, ragazzi e docenti, facendoli sentire parte di un “tutto” che non li lascia soli. Risultato: è mancata, pur nel rispetto delle normative statali, una voce ufficiale che sapesse indirizzare i giovani a determinarsi sul da farsi (rientrare, restare, fare delle considerazioni di tipo economico….) e che sapesse tranquillizzare sul piano umano, al di là degli aspetti burocratici. Si deve al grande lavoro svolto dagli uffici dedicati alla mobilità internazionale se, e parlo pensando all’Università di Torino, è stato possibile assistere tutti.

Insomma, siamo davanti a una splendida occasione perduta: l’occasione di far sentire i giovani Erasmus dei cittadini europei a tut gli effetti, protetti dalle istituzioni europee in un momento di incertezza, pericolo, caos. L’occasione di far sentire che, dove è possibile, l’Europa c’è e si prende cura di te. Un’occasione perduta che accresce il senso di abbandona, avvertito ormai anche tra la generazione Erasmus. Quando mi chiedono come faccio a credere all’Europa io rispondo sempre che io non credo in questa Europa fatta di burocrazia…ma allo stesso tempo non smetterò mai di credere nell’ Europa, nelle sue risorse umane, nelle sue infinite possibilità. Di credere in un progetto che ha a cuore le persone e i loro diritti. Tutte le persone, anche e soprattutto i suoi giovani, partiti per studiare all’estero.

Io credo nell’Europa e più mi guardo attorno, più ritengo che sia ora il tempo di costruire quell’Europa che vogliamo.

Da questa crisi, che mette a nudo tutti limiti dell’Unione, che parla con più voci amplificando il caos e l’insicurezza, infatti, deve sorgere un grande nuovo progetto che spazi via le precedenti logiche, quelle che ​ finiscono con l’asfissiare anche l’entusiasmo che faticosamente si è cercato di costruire negli anni. È tempo di respirare aria nuova. Un’altra Europa è possibile.

È tempo della Repubblica d’Europa.

www.onedemos.eu

 

Anna Mastromarino

Docente delegata per la mobilità Erasmus del dipartimento di giurisprudenza, Università degli studi di Torino