L’Aquila, oggi.

Un brusio pervaso di emozione e il lieve crepitio delle fiamme di lunghe candele di cera riempiono l’attesa delle ore 22 del 5 Aprile a L’Aquila.

Il percorso della commemorazione per le vittime del terremoto parte da piazza XX Settembre passando per Corso Federico II in centro e arriverà a piazza Duomo intorno a mezzanotte. Molte persone con lo sguardo commosso si preparano a quella che sarà una lunga camminata di silenzi tra le persone presenti e i luoghi della memoria.

Avanza il corteo mentre vibrano le immagini dei visi gioiosi di alcuni dei giovani che oggi, attraverso familiari e sostenitori, dopo quattro anni da quel giorno chiedono ancora giustizia. Intensi minuti di silenzio intervallano la fiaccolata, in particolare quella in piazza 6 Aprile davanti a quella che era la Casa dello Studente, ridotta in cumuli di polvere e sabbia: per “ i figli della conoscenza perché il sapere sia sempre vita”.

Volti impietriti, duri, accomunati dalla medesima sensazione di rabbia: chi si ritriva impotente, chi non vuole cedere all’abitudine di vivere nella distruzione. Tutti rivolgono il pensiero a quel crollo ancora impunito che tolse il respiro a 309 persone.

Vive ancora la speranza a L’Aquila, c’è fiducia nella giustizia nonostante i sacrifici quotidiani, nonostante il tempo che passa e l’ isolamento. I cittadini scelgono di auto educarsi ed educare a crescere nel coraggio che la legalità richiede. “ Senza legalità non ci può essere ricostruzione”, questa è l’unica strada edificante che può rendere onore alle vittime e all’Italia intera.

Camminando si entra lentamente nel cuore della città, i visi si fanno specchio del terremoto, si incontrano palazzi pericolanti che urlano ancora dalle crepe il male vissuto, abitazioni strappate come fogli di carta e l’intimità di quei luoghi resa pubblica, bagni e letti stracciati a metà, lasciati lì come reperti in un museo. L’Aquila e la sua gente ci appare costretta dentro fittissime impalcature, ma se si ascolta bene si sente vivere dentro di loro ancora la volontà di uscire da queste costrizioni per dare l’esempio: si può “partire da zero” per  arrivare a ricostruire anche l’Italia intera seguendo principi di legalità, con coraggio.

Giornate come queste sono anche l’occasione per ricordare altri episodi della storia recente del nostro Paese che con il terremoto de l’Aquila hanno in comune non solo la tragedia, ma anche la rabbia per una giustizia che tarda ad arrivare.

Alla commemorazione erano presenti i familiari della strage di Viareggio, c’era Cinzia Scafidi, la mamma di Vito, il ragazzo rimasto ucciso nel crollo del liceo Darwin di Rivoli, c’erano le coraggiose mamme degli operai che hanno perso la vita nel rogo della Thyssenkrupp e con loro Antonio Boccuzzi, l’unico sopravvissuto al rogo. C’era Antonio Morelli, il papà di una delle giovani vittime del crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, e Gianni Devani in rappresentanza dell’ “Associazione Vittime del Salvemini”.

Tragedie che avvengono sul lavoro, nelle scuole, nelle case, spesso causate da un giro di affari sporchi e dalla ricerca del profitto a tutti i costi.

Sono tutti in Piazza Duomo quando a mezzanotte inizia la lettura dei nomi delle 309 vittime del terremoto.

 

La mattina del 6 aprile è stato il momento “ufficiale” della commemorazione. All’interno dell’auditorium Parco Del Castello, progettato da Renzo Piano e donato alla città in memoria del terremoto, hanno sfilato le autorità in rappresentanza delle Istituzioni.

Al contrario della sera precedente la compostezza degli aquilani vacilla: qualcuno urla parole dure verso il presidente del Senato Antonio Grasso che in quel momento diventa il capro espiatorio delle colpe di uno Stato che a l’Aquila non ha fatto il suo dovere fino in fondo.

A distanza di quattro anni infatti il centro storico del capoluogo abruzzese è ancora disabitato e la vita è cambiata radicalmente. Una volontaria della croce bianca racconta che i punti di riferimento cittadini non sono più i bar di Piazza Duomo o i giardini comunali. Oggi i giovani aquilani si danno appuntamento nei centri commerciali e lì passano le loro giornate. La risposta è sempre la stessa, “mancano i soldi”, “non ci sono i fondi”, mentre la situazione peggiora di giorno in giorno.

Nuove abitazioni sono state consegnate alle famiglie colpite dal terremoto, ma nelle case abbandonate del centro rimangono i loro ricordi più cari. 

Intorno alle 13 circa, in un tendone allestito in Piazza Duomo, si incontrano i familiari delle vittime e i rappresentanti delle associazioni nate per portare avanti le azioni penali dei processi in corso. A coordinare l’incontro c’è Gloria Puccetti dell’associazione “Noi non dimentichiamo” e Daniela Rombi de “Il mondo che vorrei”.

Le famiglie raccontano di farsi carico economico dei questi processi, studiano per approfondire l’argomento, si specializzano in materie giuridiche per potersi difendere al meglio; tentano di fare rete, di amplificare l’eco delle loro storie nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica.

Ad accogliere i loro sfoghi erano presenti don Luigi Ciotti, presidente di Libera, l’ex PM di Palermo e leader di Rivoluzione Civile Antonio Ingroia e il Deputato Davide Mattiello, presidente della Fondazione Benvenuti in Italia.

La burocrazia, se troppo intricata, impedisce allo Stato di essere dalla parte delle persone.

Don Ciotti durante la mattinata aveva già denunciato le infiltrazioni mafiose per accaparrarsi gli appalti per la ricostruzione. Dice che la speranza è l’unione delle forze per una battaglia politica e culturale, la speranza è il NOI perché “la vera memoria è non ucciderli una seconda volta” .

Paolo Pascucci

Eva Genova