Sull’incandidabilità

Un articolo di Antonello Castellano –  Entro la prossima settimana, ha detto il ministro Cancellieri, il Consiglio dei ministri dovrebbe consegnare al Parlamento – nello specifico alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia – il testo del decreto delegato sull’incandidabilità dei condannati in vista delle elezioni 2013. Il testo dovrebbe completare il fatidico decreto anticorruzione, approvato la settimana scorsa, ormai legge a tutti gli effetti. Una volta ratificato dal Consiglio dei ministri verrà girato al Parlamento per un parere obbligato (ma non vincolante), da formulare entro un tempo massimo di 60 giorni, pena la decadenza. Il decreto porta l’attributo “delegato” perché Camera e Senato hanno dato il compito di redazione del documento al governo. Nel delegare, deputati e senatori hanno imposto alcuni vincoli all’incandidabilità. Hanno scritto che si potrà vietare la candidatura “a chi ha condanne definitive superiori ai due anni di carcere per reati contro la pubblica amministrazione o per altri reati per i quali la legge preveda una pena detentiva superiore ai 3 anni. Il patteggiamento equivale a condanna. E’ prevista la decadenza durante il mandato”. Manca ancora la decisione sui tempi di incandidabilità ma di massima l’indicazione attuale dice che il divieto di candidatura dovrebbe durare un tempo uguale al doppio della pena (se la pena è di 3 anni non si potrà essere messi in lista per 6). E si sarà fuori dalle liste di ogni grado, dall’Europarlamento fino alle circoscrizioni regionali. “Salvo intercorsa riabilitazione”, norma giuridica poco conosciuta: dopo dieci anni di condotta irreprensibile un giudice di corte d’Appello azzera le pene principali e quelle accessorie del condannato: fedina pulita, praticamente. Nella delega compare però anche questa concessione: “il governo può aggiungere altri delitti di grave allarme sociale”.

Ed è su questa frase che si tentava di ampliare il campo. Ampliare perché nelle condizioni concesse gli eventuali esclusi sarebbero stati al massimo due: Giuseppe Ciarrapico e Salvatore Sciascia entrambi Pdl. Il primo condannato a 3 anni e poi altri 4 per truffa aggravata, bancarotta fraudolenta e finanziamento illecito. Il secondo condannato a 2 anni e 6 mesi per aver corrotto alcuni ex colleghi finanzieri. Visti i tempi che corrono e gli scandali che si susseguono, il governo sarebbe intenzionato a mettere sotto la dicitura “allarme sociale” anche i reati. Chiariamo. Gli illeciti penali che ostacoleranno la candidatura sarebbero di tre tipi. Il primo è quello dei reati gravi come le associazioni a delinquere finalizzate alla schiavitù, la contraffazione, il traffico di stupefacenti, il contrabbando. Ovviamente l’associazione di tipo mafioso e il sequestro di persona a scopo di estorsione o la tratta di persone. Il secondo tipo sono i reati di terrorismo. Il terzo sono i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. In quest’ultima categoria sono inclusi corruzione e concussione, ma anche i meno gravi come l’omissione di atti d’ufficio o l’abuso d’ufficio. Se vi rientrassero anche i reati fiscali, anche se di poco, il numero degli in candidabili si amplierebbe. In questo momento occupano scranni in parlamento 21 condannati definitivi e 125 indagati o condannati in primo e secondo grado.

Quasi sicuramente (oltre a Ciarrapico e Sciascia) rimarrebbero fuori Marcello Dell’Utri (Pdl, 2 anni e 3 mesi definitivi per frode fiscale); Aldo Brancher (Pdl, 2 anni per ricettazione e appropriazione indebita); Antonio Tomassini (Pdl, 3 anni per falso); Ci sarebbe anche Marcello De Angelis, Pdl, condannato a 5 anni di condanna per banda armata e associazione eversiva nel ‘86 ma riabilitato nel ‘99. Rimarrebbero candidabili sicuramente Papa, Lusi, Cosentino, Milanese, Cesaro, Fiorito, Maruccio. A rischiare seriamente sarebbe, con l’introduzione dei reati fiscali nel decreto, anche Silvio Berlusconi nel caso in cui la sentenza per i Diritti Tv (condanna a 4 anni per frode fiscale) dovesse diventare definitiva.

Visti i nomi, in Parlamento gira aria di sbarramento. Insomma, la legge che in molti credevano dovesse portare nella casta aria nuova e facce pulite rischia di diventare un’altra occasione persa. La scadenza data dal ministro Cancellieri – consegna del testo entro la prossima settimana al Parlamento – sembra allontanarsi.

Il rischio concreto è che l’incandidabilità non abbia effetto già dalle elezioni amministrative in vista di Lombardia e Lazio. Si spera almeno per quelle politiche del 2013. Ma l’idea che le norme sull’incandidabilità diventino la spugna per ripulire Montecitorio, Palazzo Madama o i consigli regionali e comunali assume le forme di un progetto per il futuro.