Barriera di Milano, una casa per le religioni

 

Rubrica del Comitato Scientifico della Fondazione

di Bruno Iannaccone

Più di due anni fa, quando la fondazione Benvenuti in Italia iniziava lo studio per un possibile spazio multifede nella città, si pensava non potesse esserci miglior posto che Torino per un progetto come questo, data la sua storia e il suo presente multi-religioso.

Percorso lo spazio temporale che ci porta fino ad oggi, nel corso del quale il progetto ha raggiunto importanti obiettivi, si può iniziare a ripensare ai primi studi, confrontando quelle che erano le ipotesi e le aspettative con la situazione attuale e i fatti che si sono susseguiti e che hanno modificato in parte le aspettative iniziali.

La storia anche millenaria dei luoghi religiosi condivisi – e quella degli spazi multifede nati dalla seconda metà del XX secolo[1] – mostravano due percorsi di progettazione possibili per la “Casa delle Religioni”: il primo di totale impegno delle comunità religiose nella costruzione dal basso di un luogo che avesse potuto riunirle intorno a scopi comuni – l’esigenza di uno spazio, la necessità di conoscenza reciproca; il secondo attraverso l’iniziativa delle istituzioni pubbliche e di investitori privati, per la costruzione di un luogo soprattutto simbolico, che una volta costruito avrebbe dovuto attirare comunità interessate ad una soluzione già realizzata, costruita dall’alto. Che rispondesse alle esigenze di una società astratta, più che a quelle delle singole comunità religiose.

Il progetto però ha iniziato a camminare in maniera diversa da come gli esempi storici mostravano potesse realizzarsi. La “Casa in una sala” è sorta come un’unione sinergica e virtuosa delle esigenze dal basso e le risorse dall’alto, con uno sforzo di impegno e coordinazione da parte di tante realtà del territorio – religiose, culturali e civili – per la creazione di un luogo che accogliesse le esigenze dei soggetti coinvolti senza perdere l’ambizione progettuale di creare un centro d’avanguardia. Un centro per la sperimentazione di buone pratiche e azioni innovative, riguardanti la conoscenza, il riconoscimento e la libertà delle diversità religiose e culturali, il dialogo e la coesione inter-culturale e religiosa, il contrasto di discriminazioni e pregiudizi e la prevenzione dei radicalismi violenti.

La Fondazione Benvenuti in Italia svolge il ruolo di soggetto promotore e coordinatore di tali attività di sperimentazione e ricerca. Tramite un percorso partecipativo più di 50 soggetti, tra comunità religiose, associazioni e gruppi hanno fatto emergere bisogni, interessi e idee, contribuendo alla definizione del gruppo di lavoro, che ha portato fin qui alla realizzazione di un Regolamento di partecipazione e alla definizione di un progetto architettonico, unico nel suo genere. La partecipazione attiva delle comunità ha permesso che il progetto si strutturasse tenendo conto delle esigenze reali del territorio, prima di tutto perché le presenze hanno rispecchiato in maniera molto fedele il panorama culturale/religioso di Torino, sia quantitativamente che qualitativamente.

La sala nascerà nei locali che a questo scopo sono stati riservati dalla Città di Torino attraverso la messa a disposizione di uno spazio ad hoc collocato all’interno dell’ex-Incet di via Cigna, nell’ambito di una più ampia iniziativa di partnership tra la pubblica amministrazione cittadina e un raggruppamento di enti e associazioni.
Il primo prototipo di Casa delle Religioni sorgerà tra le circoscrizioni 5 – 6 – 7, le prime tre circoscrizioni di Torino a più alto numero di residenti con cittadinanza straniera[2], fattore che maggiormente determina la diversità religiosa. In particolare lo stabile dell’Ex- Incet si colloca nel quartiere Barriera di Milano, la cui storia sembra legittimare sperimentazioni di convivenza e condivisione, coerentemente con il suo tessuto plurale e continuativamente con i flussi migratori che da oltre un secolo hanno influito significativamente sulla sua edificazione.

Barriera di Milano ha subito diverse fasi di migrazione che nell’arco di un secolo hanno contribuito a plasmarne l’identità. È indubbio che il fattore culturale, di cui l’aspetto religioso fa parte, abbia influito sullo sviluppo e mutamento del quartiere; allo stesso tempo, sviluppo e mutamento urbano, sociale, economico hanno indubbiamente contribuito a influenzare il panorama religioso di Barriera di Milano. Un quartiere, quello di Barriera, che inizia a formarsi nel 1852 quando il Municipio decise di delimitare la cinta daziaria della città, dopo che un accordo con il Governo aveva concesso alle autorità civiche le competenze di riscossione del dazio sui generi di consumo[3].

Le prime migrazioni che interesseranno il quartiere sono quelle provenienti dalle diverse valli piemontesi, quando i processi di urbanizzazione e di sviluppo industriale erano agli inizi, e a muoversi verso la città erano principalmente abitante delle campagne limitrofe. Così dai primi anni del XX secolo iniziano ad essere costruite le prime chiese cattoliche, come Maria Regina della Pace; ma a partire da quei tempi anche le prime realtà del cristianesimo della Riforma come la Chiesa Evangelica Battista di via Elvo e più avanti la sede della Chiesa Valdese che vedeva crescere il numero di fedeli in città.

La seconda stagione migratoria che interessa Torino e Barriera di Milano è quella degli anni ’50 – ’70, costituita soprattutto da famiglie provenienti dalle regioni dell’Italia meridionale, in gran parte occupati nel settore metalmeccanico come operai. In questo periodo c’è una grande attenzione da parte delle comunità religiose alle caratteristiche sociali e culturali dei nuovi residenti. Infatti sorgono chiese come quella di Gesù Operaio, chiamata così proprio perché sorgeva al centro di una zona che, in quegli anni, contava diversi stabilimenti: la CEAT Gomma in via Leoncavallo, la Nebiolo e la SIO in via Bologna angolo corso Novara; inoltre sono gli anni in cui inizierà ad attestarsi il culto cerignolese alla Madonna di Ripalta e la processione in suo nome che inizierà a sfilare per le vie del quartiere.

Tuttavia, gli echi della seconda immigrazione non si erano ancora del tutto sopiti che già cominciava a manifestarsene una nuova. Questa volta non si trattava di immigrazione interna, il nostro paese e la nostra città per la prima volta nella loro storia dovevano confrontarsi con nuovi residenti provenienti da altri paesi.

L’immigrazione straniera a Torino si è caratterizzata per il concentramento d’insediamenti in alcune zone: fra le prime zone d’insediamento spicca quella limitrofa a Porta Palazzo, e poi San Salvario, Vanchiglia, Borgo San Paolo e San Donato. Negli ultimi anni abbiamo, però, assistito allo spostamento graduale e progressivo dell’insediamento migratorio da Porta Palazzo verso le zone a nord, lungo l’asse di Corso Giulio Cesare in particolare. Inizialmente in borgata Aurora (tra la Dora e i corsi Vigevano e Novara), nella zona Monte Rosa (tra corso Vercelli e via Mercadante, sull’asse di Corso Giulio Cesare nella tratta tra corso Novara e via Sempione) e nella zona Monte Bianco. Tutte aree che, geograficamente si collocano in quello spazio correntemente definito Barriera di Milano[4].

Negli ultimi 30 – 40 anni, anche il panorama religioso si è fortemente differenziato e sono sorti un alto numero di luoghi religiosi, segno delle nuove culture che sono state importate e adattate al contesto italiano. Oggi sono presenti due centri culturali islamici, sette chiese evangeliche pentecostali, un centro Baha’i e una stanza del silenzio, nata quest’anno all’interno dell’ospedale San Giovanni Bosco.

Tuttavia, quasi tutti questi “nuovi luoghi” si trovano in vecchi capannoni o in cortili interni di condomini, come è il caso delle due moschee o si ritrovano in appartamenti in affitto o in vecchi teatri riadattati a chiese. In buona parte dei casi a rivelare la presenza è giusto un cartello o il nome dell’associazione sul campanello, in altri casi solo entrando nel luogo è possibile verificarne la presenza. Va detto che ci sono comunità che non hanno luoghi a funzione pubblica, che si incontrano in case private, affittano spazi per occasioni cerimoniali importanti o vengono accomodate per periodi temporanei in luoghi religiosi già connotati simbolicamente. Non è facile e in alcuni casi risulta impossibile riuscire ad avere un luogo appositamente progettato ed evidentemente dedicato alla propria religione.

La “Casa delle religioni” non poteva trovare una luogo più indicato di Barriera di Milano, trattandosi di una iniziativa che va ad inserirsi a pieno nel corredo culturale variegato della Barriera di oggi e nella sua storia di innovazione e integrazione, a cui oggi sempre di più si rende necessario il richiamo, essendoci molto più di ieri la necessità di luoghi: luoghi d’incontro tra le diverse culture e religioni e luoghi di riconoscimento di questa diversità.

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[1] https://benvenutiinitalia.it/wp-content/uploads/2012/03/House_of_one_multifaith_spaces_2016.pdf

[2] http://www.comune.torino.it/statistica/dati/stranieriterr.htm (ultimo accesso 26/06/2017 alle 17.39).

[3] A. Castrovilli C. Seminarra, Storia della Barriera di Milano 1852-1945, Ass. culturale “Officine della Memoria”, 2004. Torino.

[4] G. Beraudo A. Castrovilli C. Seminarra, Storia della Barriera di Milano dal 1946, Ass. Culturale “Officine della Memoria”, Torino, 2006.