TdG e Pubblica Amministrazione.

Di recente le Camere hanno convertito in Legge il DL n.101/2013, cosiddetto Decreto sulla Pubblica Amministrazione; un provvedimento piuttosto ricco e complesso che contiene norme che riguardano moltissimi aspetti dell’amministrazione pubblica, dalle consulenze d’oro, alle auto blu ai precari dell’Amministrazione.

 

Di particolare interesse è l’art.7 del Decreto, che interviene in materia di testimoni di giustizia, riportando all’ordine del giorno una tematica tanto importante quanto delicata e discussa.

Troppo spesso, infatti, la figura dei testimoni di giustizia viene ancora assimilata o confusa con quella dei collaboratori; soggetti profondamente diversi sia sotto il profilo giudiziario che per i presupposti etico-morali che li spingono. La distinzione netta fra collaboratori e testimoni di giustizia, in realtà, risale a tempi piuttosto recenti poiché solo nel 2001, con la Legge 45/01, il Legislatore ha provveduto a regolamentare diversamente le due figure. I primi sono interni al circuito malavitoso ed hanno, spesso, commesso crimini efferati, mentre i secondi sono coloro che non hanno mai fatto parte di circuiti malavitosi, ma rivestono il ruolo di persone offese dal reato o di soggetti informati su fatti rilevanti.

I testimoni di giustizia sono persone che rischiano la propria vita, la propria esistenza, il proprio lavoro, per denunciare fatti rilevanti, per opporsi al sistema malavitoso ed aiutare la giustizia a perseguire reati di particolare gravità. La legge prevede che i testimoni di giustizia possano accedere ad un programma di protezione che risponde, principalmente, all’esigenza di salvaguardare la loro incolumità fisica e quella delle loro famiglie. Altrettanto fondamentale, però, è la qualità di questa vita che viene tutelata, la dignità dei testimoni e la loro realizzazione sociale, economica e, quindi, lavorativa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che quasi sempre coloro che sono sottoposti al programma di protezione testimoni, sono costretti ad abbandonare la loro vita, le amicizie ed il lavoro, ed è un obbligo innanzitutto morale dello Stato non lasciarli soli garantendogli una vita dignitosa e realizzata. Secondo la nostra Costituzione il lavoro è un diritto inviolabile e fondamentale del cittadino, nonché un dovere di solidarietà politica e sociale, e l’ambiente lavorativo è una delle formazioni sociali ove si svolge la personalità del cittadino. Lo Stato, dunque, ha anche un obbligo giuridico di garantire ai testimoni di giustizia una realizzazione sociale che non può non passare per un lavoro dignitoso.

Il Decreto Pubblica Amministrazione, per la prima volta, riconosce l’importanza del lavoro quale diritto fondamentale da garantire ai testimoni di giustizia. La norma, infatti, interviene sul DL 8/91 in  materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, prevedendo il diritto per i testimoni, di accedere ad un programma di assunzione nelle Pubbliche Amministrazioni secondo specifici criteri: (a) con qualifica e funzioni corrispondenti a titolo di studio e professionalità possedute; (b) con diritto di precedenza già previsto per le vittime di terrorismo e della criminalità organizzata; (c) nei limiti dei posti vacanti nelle piante organiche delle Amministrazioni interessate; (d) nel rispetto dei limiti di assunzione previsti dalle normative vigenti. Prevede il Decreto che dall’attuazione di questa norma non debbano, però, derivare nuovi oneri a carico della finanza pubblica. Per quanto riguarda i limiti di assunzione, il Decreto stabilisce che le amministrazioni pubbliche dovranno provvedere a rideterminare il numero delle assunzioni obbligatorie delle categorie protette, sulla base delle quote previste dal Decreto stesso.

Nel passaggio al Senato, poi, il diritto dei testimoni di giustizia ad essere assunti nelle Pubbliche Amministrazioni, è stato esteso anche a coloro che non sono più sottoposti alle speciali misure di protezione.

Quindi, possibilità di essere assunti nelle pubbliche amministrazioni, ma sempre nel rispetto di limitazioni organiche previste dalle norme vigenti come rideterminate dal Decreto.

Perciò, non si tratta di vere assunzioni obbligatorie ed automatiche, poiché le amministrazioni dovranno comunque rispettare limiti economici ed organici. Non dimentichiamo, infatti, che in materia di assunzioni obbligatorie per le categorie protette, si sono più volte espressi il Dipartimento della Funzione Pubblica e la Corte dei Conti affermando che, in ogni caso, le Pubbliche Amministrazioni non possano essere obbligate ad assumere soggetti con precedenza quando non abbiano le disponibilità economiche ed organiche per farlo. Questo, fra l’altro, anche per evitare che una amministrazione sia costretta a licenziare personale dipendente al fine di poter assumere altri soggetti.

Quindi, come dobbiamo leggere questo ultimo intervento normativo?

In una delle ultime numerose lettere scritte dai testimoni di giustizia alle istituzioni, si lamentava la grave sofferenza di queste persone nei confronti delle quali lo Stato sembra non rispettare i diritti essenziali, si affermava che solo una profonda innovazione in materia avrebbe potuto risolvere i vari problemi esistenti e si chiedeva un intervento importante dello Stato per modificare lo status quo.

Possiamo definire l’art. 7 del Decreto PA, una profonda innovazione in materia? Probabilmente no, ma possiamo certamente ritenerci soddisfatti perché la norma è un primo grande passo nella giusta direzione, che dimostra la volontà del Legislatore di restituire dignità ai testimoni di giustizia, riconoscendogli il grande merito per la difficile scelta che compiono e garantendogli la piena e migliore realizzazione economica e sociale. È importante che lo Stato cominci ad affiancare i testimoni di giustizia e a permettere loro di continuare ad esistere, innanzitutto, come persone, come cittadini liberi e non come semplice strumento della giustizia. Inoltre, Roberto Tricarico, per anni Presidente della Commissione Antimafia del Comune di Torino ed ora stretto collaboratore del sindaco Marino, ha più volte evidenziato che troppo spesso, quando i testimoni di giustizia vengono restituiti alla società civile, non hanno più nulla, e questo provvedimento, invece, garantendo tutela e lavoro anche a coloro che sono usciti dal programma di protezione, persegue finalmente lo scopo di reinserire il testimone nella società rispettandone la dignità.

Per le specifiche modalità di attuazione della norma bisogna attendere il Decreto attuativo del Ministero dell’Interno; nella speranza che tutto questo non rimanga solo sulla carta e che i testimoni di giustizia non debbano mai più sentirsi soli. Perché noi tutti siamo in debito con loro. Perché noi tutti non li vogliamo lasciarli soli. Perché loro hanno fatto una scelta tanto giusta quanto difficile, ed è ora che lo Stato faccia lo stesso.

Marta Cupelli