Se vince la Mafia, 30 anni dopo le stragi

Se è vero che la prima Repubblica nasce a Portella della Ginestra, la seconda Repubblica nasce a Capaci e oggi, trent’anni dopo le stragi, siamo a un giro di boa. Cosa possiamo fare noi perchè gli ideali di libertà, uguaglianza e giustizia sociale continuino ad essere la stella polare che guida il nostro agire e l’agire politico?

Nel 1992 l’onda d’urto delle bombe ha scosso un’intera generazione. Prima Capaci, poi via D’Amelio. Trent’anni dopo possiamo ancora sentire quell’onda d’urto che sta continuando a vibrare, pretendendo verità e giustizia. Ma trent’anni sono tanti e il rischio che quella stagione venga archiviata e spazzata via da nuove priorità, solo apparentemente più urgenti, è dietro l’angolo.

Nel 2022 sicuramente in tanti, sia con ruoli istituzionali che non, commemoreranno i magistrati e gli agenti morti nelle stragi. Proprio il ricordo di quelle vite spezzate deve portarci a fare un passo in più verso una rinnovata consapevolezza.

Siamo forse di fronte a un processo di trasformazione culturale nei confronti del potere e dell’organizzazione sociale? La nostra società si sta lentamente abituando ad alcune forme di clientelismo? La capacità di intimidazione sta diventando perfino seducente? Soprattutto agli occhi delle nuove generazioni?

Dobbiamo fare attenzione! Perché se la battaglia contro le organizzazioni mafiose storicamente intese sarà vinta dallo Stato, prima o poi, è nostra responsabilità evitare che il paradigma mafioso si radichi, come sembra stia accadendo. La “mafiosizzazione” della società è una questione culturale e culturale deve essere, quindi, la rinnovata battaglia che abbiamo di fronte.

Ecco, nell’anno che segna il trentennale dalle grandi stragi di mafia dobbiamo ribadire la responsabilità di continuare a costruire una società migliore e inclusiva, dove tutti si sentano attori protagonisti della storia che stiamo vivendo.

Continua la discussione con Davide Mattiello!

                 

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