Roberto Crescenzio: oggi la posa della targa a Torino

 

di Andrea Zummo

In via Po 46, quarant’anni fa, si moriva. La mattina del 1° ottobre del 1977, a termine di ore di scontri che avevano letteralmente messo a ferro e fuoco Torino, tra forze dell’ordine e manifestanti, la storia diventava tragedia. Una parte del corteo organizzato da Lotta Continua, in riposta alla morte violenta di Walter Rossi avvenuta a Roma il giorno prima, lanciava molotov contro il bar chiamato “Angelo Azzurro”, ritenuto erroneamente allora un luogo di ritrovo di fascisti.

Roberto Crescenzio avvolto dalle fiamme, uscì dal bar e fu soccorso in strada: sarebbe morto dopo due giorni di terribile agonia, per le ferite e le ustioni riportate nell’incendio doloso. Roberto non era un militante di estrema destra, ma uno studente lavoratore, di 22 anni, figlio di due umili immigrati veneti, il padre imbianchino, la madre casalinga.

Questa mattina, nell’aula magna del liceo Gioberti, a pochi passi da via Po, si è tenuta una cerimonia di inaugurazione per la targa affissa al 46 di via Po, per ricordare Roberto. A prendere la parola il presidente del Consiglio Comunale Fabio Versaci, il vice-presidente del Consiglio regionale del Piemonte Nino Boeti, la cugina di Roberto Federica Marchioro e il presidente dell’associazione italiana vittime del terrorismo, Roberto Della Rocca. In sala, oltre ai giornalisti e ai privati cittadini, una rappresentanza degli studenti del Liceo. A conclusione della cerimonia, un piccolo corteo, guidato dai gonfaloni del Comune, è arrivato sotto i portici di via Po, per scoprire la lapide.

Nei giorni scorsi, sulle cronache cittadine, la polemica aspra ha riempito le pagine dei quotidiani. La dicitura pensata per la targa, “vittima del terrorismo”, si voleva evitarla e sostituirla con la più generica “vittima della violenza politica”, evitando di scomodare il termine di terrorismo, per una vittima collaterale che non era l’obiettivo dell’assalto all’Angelo Azzurro. Così, almeno, si è detto nelle settimane scorse da parte di alcuni; altri, invece, sono intervenuti per difendere la proposta iniziale, come l’ex magistrato Gian Carlo Caselli. Alla fine ha prevalso la scelta originaria, come stamani si è ricordato, confermando la parola terrorismo.

Tutti gli interventi di questa mattina hanno ribadito l’insensatezza di quel gesto, l’impossibilità di giustificare la violenza di quegli anni, la necessità di fare memoria di quegli accadimenti.

Già, la memoria. Forse soprattutto a beneficio di quei ragazzi che erano presenti oggi alla commemorazione: così lontani da quella dimensione di scontro politico e sangue, che impastò gli anni ‘70, a Torino come altrove, ma così bisognosi di essere accompagnati in questo percorso a ritroso di memoria.

In via Po 46 a Torino, da stamattina, c’è una lapide che ricorda Roberto e la sua morte. Lapide inaugurata in una giornata dal cielo grigio, con qualche curioso e alla presenza delle istituzioni, un gruppetto di poliziotti davanti a una camionetta a tutela dell’ordine pubblico, pochi passi più in là.

Una lapide sul muro tra un kebabbaro e il Xò disco club, che ci ricorda il nostro passato, che non vogliamo, né possiamo dimenticare, anche dopo quarant’anni.