Mense scolastiche: intervista a Umberto D’Ottavio

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di Camilla Cupelli

 

La vicenda delle mense scolastiche e della possibilità di portare il cosiddetto “panino” da casa si è infuocata durante l’estate soprattutto nel Comune di Torino, ma ha ormai preso una piega nazionale. Tra denunce, ricorsi e prese di posizione, il tema centrale sembra essere messo da parte in favore delle ragioni dell’una e dell’altra parte. Per provare a fare un po’ d’ordine nella vicenda abbiamo deciso di intervistare l’Onorevole Umberto D’Ottavio sul tema, che da anni si occupa di educazione anche a livello nazionale in quanto membro della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione.

 

Onorevole, come procedere in questa intricata vicenda?
Innanzitutto, aprire un dialogo è fondamentale, perché non credo che le ragioni – per esempio a Torino – dei 58 che hanno fatto il primo ricorso partissero dal fatto che i figli non dovessero mangiare a scuola, ma partivano piuttosto da problemi di prezzo, qualità. Bisogna capire quali sono le cose che non vanno e andare avanti. La vicenda di Torino esplode adesso ma, duole dirlo, covava da tempo: alcuni genitori denunciavano una mancanza di informazione sufficiente sulla mensa. Da questo punto di vista mi dispiace che la questione rischia di travolgere tutti, anche le tante realtà dove tutte le richieste che questi genitori hanno fatto sono già nelle metodologie! A Collegno, ad esempio, dove ero sindaco, i genitori possono mangiare con i bambini, c’è una commissione mensa, il capitolato è stato concordato e quindi è tutto chiaro anche alle famiglie (anche il perché del prezzo): non ci sono sorprese e quindi il dialogo è più semplice.

 

Come fare ad aprire questo dialogo?
Bisogna fare tutto il possibile per tranquillizzare i genitori e far vedere loro che quello che si fa nelle mense scolastiche è nell’interesse dei bambini e non certo delle ditte. Questo è il tema principale. Bisogna capire di cosa stiamo parlando: parliamo tutti della stessa cosa, di cosa serve ai bambini. Serve mangiare un pasto corretto e ben fatto che li faccia star bene a scuola. Nessuno mette in discussione che il genitore che dia da mangiare al bambino cose da lui cucinate voglia dare ai propri figli cose buone, ma questo non ha senso nel contesto scolastico. Il momento educativo, di socialità, di scambio – anche di opinioni – del momento della mensa è ineguagliabile, e in parte si devono mangiare le stesse cose per poterlo vivere appieno.

Non vuol dire che non ci debba essere attenzione per gli aspetti sanitari, di allergia, ormai si parla sempre anche degli aspetti religiosi: ma proprio per questo bisogna ricordare che la mensa è un momento di incontro.

 

Come si vive la situazione a livello nazionale, al di fuori del Piemonte?
Purtroppo ho notizie che anche nel resto d’Italia c’è un’arrabbiatura generale e questo incrementa la domanda ma rimango dell’opinione espressa sopra. Dialogo e informazione.

Siamo riusciti con fatica a far diventare la mensa tempo scuola, negli anni, abbiamo gli insegnanti pagati per stare lì, se mettiamo in discussione questo torniamo indietro di quarant’anni, quando la mensa non c’era ed eri invitato ad andare a casa. Stiamo lavorando perché si stia il più possibile a scuola, non possiamo tornare indietro.

 

Come mai la vicenda è esplosa in questo modo e per quali ragioni la sentenza ha dato ragione alle famose 58 famiglie torinesi?
Su cosa ha fatto breccia il giudice per questa sentenza? Sul fatto che la mensa oggi è considerata nel nostro Paese un servizio a domanda individuale. L’ora di geografia devo fornirla e devo farlo gratuitamente, mentre purtroppo la mensa è ancora individuale e quindi lo pago solo se la uso. Questo in effetti contrasta con le azioni di questi anni: quando abbiamo fatto in modo che il servizio mensa soprattutto nelle primarie fosse garantito a tutti e quindi fosse tempo scuola, incappare nel problema della richiesta individuale resta in parte una contraddizione.

 

Molti presidi denunciano diverse problematiche nel far mangiare ai bambini un pasto portato da casa.

Certamente. A mio parere ci sono tre ordini di problemi:

 

  • Il primo problema è di carattere sanitario: ci vuole la garanzia che ciò che entra a scuola sia sano e garantito;
  • Vi è poi un problema di responsabilità: gli insegnanti devono o possono assistere questi bambini durante l’ora del pasto?
  • Infine, quello per me più grave: il problema socio-culturale. Se io mangio in mensa e accanto a me c’è chi mangia la pizza non c’è educazione alimentare, ma forse nemmeno educazione, la mensa non funziona più come prima.

 

Qualche considerazione conclusiva?

Stiamo cercando di capire se ci sia bisogno un intervento legislativo dal Parlamento, ma è molto complesso e soprattutto non vorremmo che fosse vissuto come una costrizione. C’è una commissione al lavoro su questo e speriamo di capire presto come agire.

Quello che voglio sottolineare è che tutta questa vicenda è un dispiacere, perché è un arretramento culturale delle famiglie. Se il problema è quello del prezzo dobbiamo assolutamente parlarne! Ma non è più solo questo. È un dibattito culturale che merita di essere affrontato seriamente perché ne va dell’idea di scuola che costruiamo, se la scuola è luogo del confronto non è il luogo dove io devo avere ciò che chiedo, o si arriva a un impazzimento: la scuola trasmette valori ed educazione, se salta il meccanismo salta proprio l’idea di scuola. Dietro alla mensa c’è un’idea culturale di scuola ben precisa, che non possiamo eludere.