Io non ho fatto (quasi) niente: la lettera di Davide Mattiello

Io non ho fatto (quasi) niente

Rispondo così e non per provocazione, ai tanti che mi hanno chiamato o che mi hanno scritto per congratularsi con me per la riforma del sistema tutorio dei Testimoni di Giustizia che ieri il Senato ha definitivamente approvato.

Così come accadde dopo l’approvazione della riforma del 416 ter, voto di scambio politico mafioso, della riforma Codice Antimafia, della istituzione del 21 di Marzo, Giornata nazionale dedicata alle vittime (innocenti) delle mafie

Nel bene e nel male, quello che si fa in Parlamento è il frutto di un lavoro collettivo, sempre animato da diverse intenzioni, spesso agitato da tensioni ideologiche e materiali.

Nel bene e nel male il prodotto della attività parlamentare è specchio dei rapporti di forza tra i partiti e dentro ciascun partito, non c’è nessuna autorità sovraordinata a garantire armonia e razionalità, ne’ tanto meno il perseguimento coerente e lineare del “Bene comune”: c’è quel che si fa attraverso il conflitto. E’ la democrazia.

Quando il Partito Democratico mi propose la candidatura nell’ormai lontano Dicembre del 2012, ne ero consapevole e accettai quella proposta sperando di contribuire ad una azione politica che avrebbe realizzato le scelte di cui avevamo sentito il bisogno negli anni lunghi di militanza sociale che mi aveva visto impegnato.

E’ stato un quinquennio complicato, partito senz’altro quasi nel peggiore dei modi, tra non-vittorie, subitanee scissioni (Italia Bene Comune morta alla prima assemblea), Governi no-alternative, ma oggi posso dire che ne è valsa la pena e che è stato un privilegio servire le Istituzioni repubblicane.

Quello che si poteva fare, l’abbiamo fatto.

Non tutto e non sempre come avremmo voluto, certo. Ma è stato fatto.

Sono grato a chi, avendo esperienza e competenze molto maggiori delle mie nella difficile gestione del processo parlamentare, ne ha determinato l’esito. Tre esempi paradigmatici: le mie due Presidenti, l’on. Bindi della Com Antimafia e l’on. Ferranti della Com Giustizia, leonesse differenti nei modi, ma non nella caparbietà e nel senso dello Stato; la delegata d’Aula, on. Cinzia Fontana, severa e umanissima nel governo del gruppo.

La democrazia offre una occasione alla composizione non violenta del conflitto sociale (il che è davvero molto, in tempi di rigurgiti fascisti), che questa occasione sia colta o sprecata, dipende dalla qualità dei partiti e i partiti sono fatti di persone. E’ il partito che garantisce quella continuità di saperi ed orientamenti, che va oltre il contributo che i singoli possono dare temporaneamente stando dentro le istituzioni: i singoli è bene che passino, le Istituzioni e la capacità di farle funzionare no. Professionalità senza professionismo, ma anche senza improvvisazione.

Con me il PD ha mantenuto le promesse: chi conosce la storia del contrasto alle mafie in Italia sa che quasi sempre lo Stato ha fatto cose buone, soltanto reagendo al sangue versato dalla violenza criminale. Le riforme più importanti cioè sono state il frutto amaro degli eccedi di mafia: dopo Ciaculli, dopo via Carini, dopo Capaci e Via D’Amelio.

Noi abbiamo approvato leggi buone senza la dittatura del sangue: perché ci abbiamo creduto. Alcune di queste riforme erano attese da oltre vent’anni: i delitti ambientali, il voto di scambio, la istituzione della Giornata delle vittime di mafia, lo Statuto dei Testimoni di Giustizia. Altre hanno rappresentato una inversione a U rispetto al trend degli anni precedenti: il falso in bilancio, l’autoriciclaggio, l’anti corruzione, la prescrizione. Altre hanno provocato anche qualche fastidio e qualche incomprensione di troppo come le nuove norme contro il caporalato e il nuovo Codice Antimafia.

Il partito perfetto è quello che non esiste, il partito migliore è quello che ancora non conta niente. Un partito che conti e che si assuma la responsabilità di governare è un partito che si compromette con la realtà, che lo deforma, penetrandolo di ogni ambizione più o meno lecita. Talvolta fin troppo e c’è senz’altro il rischio che il partito si snaturi, ma è proprio per questo che conviene starci dentro e gremirlo di resistenze, piuttosto che sottrarsi, facendo il gioco delle spinte che sfigurano.

Anche questa lezione si impara osservando le mafie che purtroppo per noi hanno una formidabile capacità di resilienza e se la ridono di ogni sfarinamento inconcludente.

Il PD ha una base giovanile straordinaria che ho avuto modo di incontrare in ogni angolo di Italia: sono certo che loro contribuiranno a fare meglio quello che noi non siamo riusciti a fare fin qui. E anche questo è un gran conforto.

 

Davide Mattiello

Deputato, PD, XVII Legislatura