L’ultimo decreto del governo Letta, mutato in legge il 20 febbraio scorso alla camera con 312 sì, 141 no e 5 astenuti, è quello sulla riforma del finanziamento ai partiti. Porta le firme di Letta, Alfano, Quagliariello e Saccomanni. Regola l’abolizione del finanziamento pubblico diretto e indiretto ai partiti per sostituirlo con agevolazioni fiscali per la contribuzione volontaria dei cittadini tramite detrazioni per le erogazioni liberali e destinazione volontaria del 2 per mille Irpef.
Semplice. Sembra.
Strano ci si sia messo più di vent’anni: il referendum con il quale gli italiani dissero di no al finanziamento pubblico risale al 1993 . Strano porti firme bipartisan. Strano diventi effettivo dal 2017. Infatti, il meccanismo della nuova legge prevede che il sistema dei rimborsi elettorali (un tanto al voto, senza alcun giustificativo di spesa) che avevano sostituito i finanziamenti pubblici vada a estinguersi un 25% all’anno. Partendo dal tetto massimo imposto dal governo Monti dei 91 milioni di euro (annui) del 2012 si passerà nel 2014 a 68, 25 milioni; a 45,5 nel 2015; a 22,75 nel 2016; nulla nel 2017.
E come sopravvivranno i partiti dal 2017 in poi?
Detto che dal 1994 a oggi i partiti hanno incassato, sotto forma di rimborsi pubblici, circa 2,7 miliardi di euro, spendendone, per le 15 campagne elettorali sostenute – amministrative escluse, tra politiche, europee e regionali – circa 700 milioni di euro, si calcola un guadagno netto di 1,9 miliardi di euro (fonte Openpolis – Open bilanci http://www.openpolis.it/progetti/openbilanci/ ). Di cui qualcosina ancora dovrebbero avere.
In ogni caso, il nuovo sistema non lascia la rappresentanza politica orfana di mantenimento. Anzi. Tra le maggiori novità prevede:
– l’introduzione di un tetto alle donazioni di privati con un limite massimo di 100 mila euro
– in caso di erogazioni liberali di persone fisiche o società una detrazione pari al 26% per gli importi da 30 a 30 mila euro
– la destinazione volontaria del 2 per mille dell’Irpef
– il pagamento dell’imu per gli immobili di proprietà dei partiti
– per la trasparenza, l’istituzione del registro nazionale dei partiti politici che accedono ai benefici previsti dalla legge
– la realizzazione da parte di ciascun partito di un sito internet sul quale devono essere accessibili statuto e bilanci
– in caso di licenziamento, la cassa integrazione per i dipendenti dei partiti
Alla luce di tutto questo sorgono alcune riflessioni.
La prima. L’uso del 2 per mille impone a tutti coloro che hanno un reddito dichiarabile, compresi gli astensionisti del voto, un contributo orizzontale. Considerando che lo stesso mezzo, sebbene in proporzioni differenti, si usa per finanziare gli oratori della Chiesa cattolica, la sanità o le pensioni, viene da chiedersene la legittimità.
Per di più il finanziamento derivante dal 2 per mille diventerà attuale a partire dal 2014 mentre i rimborsi scadranno, a scaglioni, solo nel 2017. Cosa succederà se queste due fonti di reddito dovessero superare il tetto imposto dal governo Monti, dei 91 milioni di euro annui a partito?
Ancora, la cassa integrazione per i dipendenti, di un partito come di una fabbrica, sembra cosa sacrosanta, ma prevedendo la tendenza della futura legge elettorale (Italicum) a tagliare fuori i piccoli partiti, causando un buon numero di licenziamenti, quali sono le assicurazioni per la copertura economica?
Roberto Perotti, professore di economia presso la Bocconi di Milano, lamentava (già a dicembre http://www.lavoce.info/il-finanziamento-pubblico-ai-partiti-non-e-stato-abolito/ ) che con questa nuova legge sui finanziamenti i partiti “continueranno a pesare sul contribuente, da 30 milioni a 60 milioni, poco meno di quanto costano ora”. Volendo comunque prendere per buono il risparmio previsto, non si tiene conto del fatto che la legge non regoli affatto il capitolo sulle donazioni alle fondazioni politiche. Donazioni per cui non è previsto nessun tetto.
Infine, da tempo il non profit e la ricerca scientifica lamentano una disparità fiscale di trattamento, rispetto alla politica. Considerata la detrazione del 26% per gli importi da 30 a 30 mila euro delle erogazioni liberali viene spontaneo chiedersi come mai, sebbene rivista con questa legge, per le onlus la quota di detrazione è pari al 26% della quota versata, ma la somma su cui calcolarla ha un “tetto” massimo di 2065,85 euro (contro i 30 mila per i partiti), facendo prevedere, al di sopra dei 2065 euro uno sconto fiscale per il donatore di circa quattordici volte di meno.