Senza idee non c’è cultura

di Serena Danna

Agli inizi di marzo, il quotidiano inglese The Independent ha chiesto ai suoi lettori di indicare cosa gli viene in mente quando pensano al made in Italy. Al primo posto tra le associazioni trionfava Claudia Cardinale, protagonista del Gattopardo di Luchino Visconti, al secondo il mito della “Dolce vita”, e giù così tra gondolieri di Venezia (4°), mafia (10°) e Leonardo Da Vinci (14°).
Fotografia di un mito che non si è aggiornato e che, come una macchina del tempo, tiene l’Italia ferma tra la fontana di Trevi e don Vito Corleone.
Ma non sono certo i giornali stranieri a certificare la nostra arretratezza culturale: nella classifica del 2010 dei paesi più innovatori della Ue l’Italia è 17esima.
Nel 2007, in occasione del lancio del programma cultura, la Commissione Europea ha pubblicato uno studio sulla produzione culturale degli Stati membri. Anche in questo caso brutte notizie: l’Italia si piazza dodicesima. «C’è una correlazione tra i due indicatori – spiega l’economista Pier Luigi Sacco -: i paesi che innovano sono quelli che hanno una visione attiva della cultura».
Secondo Sacco, autore insieme allo storico dell’arte Christian Caliandro del saggio Italia Reloaded (Il Mulino), negli ultimi quaranta anni in Italia si è consolidata una concezione passiva della cultura, basata sulla conservazione dell’esistente e sulla difesa dell’antico: «Abbiamo smesso di produrre idee – spiega Sacco – convinti che, grazie al nostro passato glorioso, potevamo fare a meno di nuovi contenuti: in questo modo siamo diventati marginali sulle frontiere della produzione creativa».
Nel paese che, con i suoi 911 siti Unesco, vanta un patrimonio unico al mondo, le parole-chiave legate alla cultura sono: conservazione, tutela e salvaguardia. E su queste attività si è concentrata la maggior parte delle energie e delle spese pubbliche. Il bilancio di competenza del Mibac per il 2011 è di circa 1 miliardo e 500 milioni di euro: l’84,6% del totale è destinato alla «tutela e alla valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici». Dei 60 milioni che provengono dal gioco del lotto, 400 mila euro andranno alle aree archeologiche etrusco-romane di Tarquinia e Gravisca, e parte dei fondi al «consolidamento e il restauro» del convento di San Nazario in provincia di Campobasso o «alla valorizzazione» del Collettore romano di Serravalle del Chianti. Il comune di Firenze investirà in beni culturali e belle arti 6 milioni in più rispetto al 2010.
«Il meraviglioso e ingrombrante patrimonio culturale ha prodotto l’ossessione del turismo», spiega Christian Caliandro. Le città d’arte, caratteristiche della realtà italiana, «sono aggredite da un turismo di massa apparentemente culturale – continua lo storico – ma in realtà concentrato sull’autorappresentazione». Luoghi come Venezia e Firenze non solo non sono capaci di produrre nuova cultura, ma spesso «neanche di conservare il significato di quella che si è tramandata nel tempo».