E Tremonti violò il codice d’onore del PDL

Giulio Tremonti, “il coniglio dei ministri”. Così, sulla prima pagina del Giornale, si consuma la rottura tra Silvio Berlusconi e il “Genio” che, dal giorno ormai lontano della discesa in campo, ha retto l’Economia in tutti i governi guidati dal Cavaliere. Il commento di Mario Giordano (titolo completo: “La fuga nel giorno del giudizio: Giulio il coniglio dei ministri”), fissa su carta il grande malumore del Pdl verso il ministro, assente ieri dall’aula in cui si votava sull’arresto del suo ex braccio destro Marco Milanese.

Uno sgarro al codice d’onore del Pdl: “Mentre i parlamentari della maggioranza facevano quadrato per salvare il suo collaboratore, lui faceva il biglietto per andare a Washington”, scrive Giordano. Il ministro dell’Economia era in partenza per la capitale Usa per partecipare al vertice del Fondo monetario internazionale e alla cena del G20. Ma, orari alla mano, secondo molti esponenti del Pdl Tremonti avrebbe potuto benissimo votare (la Camera si è pronunciata intorno a mezzogiorno e dieci). “C’erano almeno 28 ore di tempo per poter assolvere entrambi gli impegni ed evitare la figura del Gran Codardo”, infierisce ancora Giordano sul quotidiano di proprietà della famiglia del presidente del Consiglio.

Il tradimento di Milanese è solo l’ultima goccia. Perché il malcontento da destra verso l’eterno “superministro” dell’Economia ha a che fare con la delicata gestione delle risorse pubbliche in questa stagione difficilissima. Con Tremonti già involato verso gli States, i colleghi seduti in consiglio dei ministri si sono ritrovati i “due tomi” – è sempre Il Giornale a rimarcarlo – del Documento economia e finanza (Def), che vedono per la prima volta. E così si torna a invocare una “cabina di regia” per una gestione condivisa delle questioni economiche.

Non a caso, è l’identica espressione usata nel 2004, quando Tremonti fu “licenziato” dal governo Berlusconi, e sostituito da Domenico Siniscalco. Una strada oggi difficilmente praticabile, dato il quadro finanziario nazionale e globale. Così si rievoca un altre termine ricorrente, lo “spacchettamento” del suo ministero in Bilancio, Tesoro e Finanze, come ai tempi della Prima Repubblica.

Neppure la Lega sembra più disposta a immolarsi per lo storico alleato, l’uomo che poche settimane fa era ospite al compleanno di Umberto Bossi ed è sempre stato considerato la “garanzia” del Carroccio presso il fronte berlusconiano.  Dell’assenza al voto su Milanese “siamo rimasti molto sorpresi”, ammette il capogruppo leghista alla Camera Marco Reguzzoni in un’intervista a Il Messaggero. Se aveva un impegno internazionale così importante, Tremonti doveva comunicarlo preventivamente. Ma questo testimonia che Giulio non si è speso più di tanto per il suo ex consigliere politico”.

Nella stessa intervista, Reguzzoni anticipa la posizione della Lega su un altro momento critico, il voto della prossima settimana – il 28 settembre – sulla sfiducia al ministro dell’Agricoltura Saverio Romano, accusato in vicende di mafia: ”Voteremo no, perché se passasse il principio che uno si deve dimettere in base a un avviso di garanzia, consegneremmo a qualsiasi pm il potere di licenziare un ministro”.

Per la verità, non si tratta di un semplice avviso di garanzia. A Palermo, il ministro Romano è rinviato a giudizio, perché “avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell’associazione mafiosa, intrattenendo, anche alla fine dell’acquisizione del sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell’organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli, Antonino Mandalà e Francesco Campanella». Per la Lega si profila un’altra partita piuttosto imbarazzante.

Il ministro Romano si dice tranquillo: la sfiducia “è un evento che in logica non dovrebbe realizzarsi”. E ricorda ai colleghi: “Io sono il leader di un partito politico e con il mio partito sostengo il governo”.