#adesso: approvare la riforma del Codice Antimafia

Torna in Aula alla Camera la riforma del Codice Antimafia nella parte che riguarda le misure di prevenzione patrimoniale e la confisca dei beni ai mafiosi. L’inizio della discussione è fissato per il 25 settembre e nei giorni successivi ci auguriamo che si arrivi all’approvazione definitiva in terza lettura: dopo essere stata approvata alla Camera nel novembre del 2015, infatti, la riforma si è poi arenata per due anni in Senato dove è stata votata nel luglio del 2017, subendo alcune modifiche. Risulta dunque urgente l’approvazione definitiva alla Camera del testo uscito dal Senato per non correre il rischio che la riforma non veda la luce entro la fine della legislatura. Relatore del provvedimento sarà Davide Mattiello, nostro eletto in Parlamento e tra i fondatori della Fondazione Benvenuti in Italia, membro delle commissioni Giustizia e Antimafia.

 

Ma perché è essenziale riformare il Codice Antimafia?

In primo luogo perché la riforma prevede strumenti atti a tutelare i lavoratori delle aziende sottoposte a sequestro o confisca, perché se è vero che è compito dello Stato sottrarre le aziende e i capitali ai mafiosi, è altrettanto vero che i lavoratori di quelle aziende non debbano rischiare di perdere il proprio lavoro in seguito all’intervento Statale, lanciando così anche il pericoloso messaggio che laddove la mafia offriva lavoro è lo Stato a toglierlo.

In secondo luogo perché con l’attuazione della riforma sarà allargato il perimetro delle persone alle quali è possibile applicare le misure di prevenzione patrimoniale a chi è indiziato di un reato contro la pubblica amministrazione, ai presunti favoreggiatori della latitanza dei mafiosi, a chi è coinvolto nel 603 bis, ovvero reati di caporalato e di sfruttamento della manodopera, e ai sospettati di corruzione.

Proprio sul secondo punto si è sollevata qualche polemica, in particolare sull’inserimento dei corrotti tra i destinatari delle misure di prevenzione patrimoniale,  con la richiesta al legislatore di separare tale reato dal Codice Antimafia. Noi crediamo invece che la riforma debba essere approvata così come è uscita dall’Aula del Senato, non solo perché – come abbiamo scritto in precedenza – apportare una modifica al testo significherebbe far svanire la possibilità che la legge sia approvata in questa legislatura, ma anche perché la riforma porta con sé le istanze della Proposta Popolare 1138 per per la quale CGIL, Avviso Pubblico, ARCI, Libera, ACLI, Lega Coop, SOS IMPRESA e Centro studi Pio La Torre, raccolsero centinaia di migliaia di firme negli scorsi anni.

Più nello specifico le norme per il contrasto patrimoniale e la tipizzazione del delitto di associazione mafiosa sono state introdotte nel 1982 dalla cosiddetta legge Rognoni-La Torre e da allora la legge ha visto progressivamente ampliarsi il perimetro della sua applicazione, nonché arricchirsi gli strumenti normativi a disposizione. Il sequestro e la confisca dei patrimoni d’illecita provenienza alle persone indiziate di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, infatti, si è rivelata un’arma particolarmente importante per colpire il crimine organizzato nel nostro Paese, di pari passo con il riscatto sociale dei luoghi e dei beni appartenuti alle mafie e riutilizzati dalla società civile. Già nel 2001 i delitti per i quali è possibile subire la confisca del patrimonio sono stati notevolmente allargati a diverse fattispecie di reato (anche mere contravvenzioni) e agli evasori fiscali socialmente pericolosi.

Infine, sulla scia della celebre frase di Falcone “Segui i soldi e troverai la mafia”, negli ultimi anni si è sempre più consolidata la certezza che corruzione e mafia siano intimamente legate fino a poter essere considerate due facce della stessa medaglia. L’azione mafiosa, infatti, si è progressivamente spostata da azioni violente, brutali e sensazionalistiche ad azioni legate al movimento di capitali verso investimenti in circuiti economici legali, questo grazie anche all’arma della corruzione più o meno accompagnata dall’esercizio della forza intimidatoria che da sempre contraddistingue le mafie. Alla luce di queste considerazioni appare quindi chiaro e condivisibile perché il legislatore voglia inserire i reati di corruzione all’interno del Codice Antimafia.

Recentemente importanti realtà dell’Antimafia, come Libera e Avviso Pubblico, hanno lanciato un appello affinché la riforma sia votata in fretta e senza modifiche alla Camera e di particolare importanza risulta, poi, la presa di posizione del Consiglio superiore della Magistratura  contenuta in una Risoluzione della sesta Commissione, votata all’unanimità il 13 settembre, giorno del 35° anniversario della legge Rognoni – La Torre, sulla quale  si legge:

“Al Legislatore non può che ribadirsi il favore per l’impianto di riforma in atto che, pur presentando ancora alcune specifiche lacune di dettaglio, affronta e risolve numerose criticità del sistema dell’aggressione patrimoniale della gestione ed amministrazione dei beni, nel solco delle migliori elaborazioni in materia e delle sollecitazioni provenienti anche dalla magistratura specializzata”.

Per tutte queste ragioni, dopo anni di attesa, speriamo che nei prossimi giorni  si arrivi alla definitiva approvazione di una riforma tanto importante che ha già subito una lunghissima e proficua gestazione, andando ad arricchire di strumenti nuovi il contrasto alle mafie nel nostro Paese.