Via Libera alla Commissione Comunale Antimafia a Torino


 

Mafia: la conferenza dei capigruppo dà il via all’istituzione di una commissione speciale

La conferenza dei capigruppo, accogliendo all’unanimità una proposta dei consiglieri Marco Grimaldi e Roberto Tricarico, ha conferito al presidente del Consiglio comunale Giovanni Maria Ferraris e al Segretario generale del Comune, Mauro Penasso, l’incarico di predisporre il testo di una delibera per l’istituzione di una nuova commissione consigliare. La commissione rappresenterà uno strumento per la vigilanza, la prevenzione e il contrasto delle infiltrazioni mafiose sul territorio cittadino e nelle attività amministrative, oltre che di promozione della cultura della legalità.

La nuova commissione speciale sarà formata da nove membri, cinque della maggioranza e quattro della minoranza e sarà aperta permanentemente ad esperti. Essa non svolgerà alcuna attività d’inchiesta ma opererà per l’analisi, il confronto e la divulgazione delle buone pratiche adottabili per prevenire o contrastare la penetrazione di fenomeni mafiosi.

Obbiettivo dei capigruppo è portare la delibera al voto del Consiglio comunale entro il giorno 21 marzo 2012, giornata nazionale contro le mafie e di memoria di tutte le vittime di mafia. Quest’anno la giornata è solennizzata anche dalla ricorrenza del ventesimo anniversario delle stragi in cui perirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Qui la lettera:

17 febbraio  2012
Torino, 25 gennaio 2012

Al Sindaco del

Comune di Torino

Piero Fassino

Al Presidente del

del Consiglio Comunale

Giovanni Maria Ferraris

Alla Conferenza dei

Capigruppo Consiliari

LORO SEDI

______________________

Gentili consigliere e gentili consiglieri,

Come senz’altro sapete l’operazione Minotauro è il risultato di cinque
anni di lavoro, pedinamenti, intercettazioni, migliaia di carabinieri
impiegati. L’inchiesta guidata dal p.m. Alberto Perduca, dal gip di
Torino, Silvia Salvadori, coordinati dai procuratori capo Giancarlo
Caselli (Torino) e Reggio Giuseppe Pignatone (Reggio Calabria)
testimonia che la ‘ndrangheta è ben radicata nel Piemonte.

La nostra regione è continuamente teatro di attacchi alla legalità sul
territorio, compresi gli accordi illeciti con esponenti politici.

L’operazione scattata lo scorso anno ha colpito e decapitato i clan
calabresi attivi all’ombra della Mole, “un’organizzazione imponente
con centinaia di affiliati – scrivono i pm – tenacemente e
capillarmente radicata nel territorio”: i numeri parlavano chiaro 142
arresti, disposti dal gip Silvia Salvadori tra Torino, Milano, Modena
e Reggio, tra le circa 150 ordinanze di custodia cautelare in carcere
emesse. Centottantadue indagati, per un’inchiesta resa possibile anche
grazie alle dichiarazioni rese negli ultimi anni da due collaboratori
di giustizia, Rocco Varacalli e Rocco Marando. Circa 70 milioni di
euro il valore dei beni sequestrati.

In queste zone piemontesi, Giancarlo Caselli dichiara che sono
presenti ben nove locali, contenenti per lo più cinquanta affiliati
ciascuno: il locale di Natile di Careri a Torino, Cuorgné, Volpiano,
Rivoli (chiuso), San Giusto Canavese, Siderno a Torino, Chivasso,
Moncalieri, Nichelino.

Ogni locale aveva un “referente” in Calabria e l’intero hinterland
torinese faceva riferimento a Giuseppe Catalano, indicato come
“responsabile provinciale”. Boss e sodali ramificano i loro affari in
un clima di omertà. Anche in Piemonte le denunce “sono pochissime e
ancor meno sono le denunce spontanee”, mentre la capacità di
intervento degli ‘ndranghetisti è riconosciuta da “parte della
popolazione” che si rivolge a loro per chiedere “piccoli favori,
intermediazioni, suggerimenti” e risolvere problemi imminenti.

Non pochi i candidati che in questi anni sono entrati in contatto con
i membri della consorteria nei periodi immediatamente precedenti alle
consultazioni elettorali per richiederne l’intervento, consapevoli –
scrivono i pm – “dell’influenza che gli affiliati sono in grado di
svolgere nella ‘rete dei calabresi’ ”. Su questo punto sono emersi
alcuni nomi di esponenti della politica locale implicati ma non
indagati.

La criminalità organizzata è sempre più presente nel nord Italia e
come ci aveva già descritto il presidente Francesco Forgione nella
relazione della scorsa Commissione Parlamentare Antimafia, hanno
colonizzato tutto. E Torino non è immune da questa piaga. Chi fino a
qualche anno fa pensava che la “proiezione” malavitosa fosse molto
debole probabilmente non aveva la percezione di quanto stava
succedendo nel nostro territorio.

L’Osservatorio sulla Sicurezza nella Città di Torino, frutto del
protocollo d’intesa fra Ufficio Territoriale del Governo-Prefettura e
Comune di Torino del maggio ’98 ed allargato a 23 Comuni della cintura
torinese, firmatari di analoghi strumenti convenzionali, effettuava un
monitoraggio della delittuosità nei territori degli Enti menzionati
con elementi sull’intera provincia attraverso dati statistici e di
conoscenza dei fenomeni criminosi.

Il rapporto del 2003 sosteneva che : “Una corretta valutazione della
consistenza effettiva del fenomeno deve infatti considerare che, in
particolare negli ultimi anni, la criminalità organizzata torinese è
diventata più impermeabile all’azione informativa delle forze di
polizia, mimetizzandosi sotto altre forme delinquenziali ovvero
attività economiche di per sé lecite.

Va in ogni caso rilevato che in provincia di Torino, la cui
popolazione ha sempre molto radicati la percezione della legalità ed
il senso delle Istituzioni, non si registrano le condizioni che
definiscono un territorio con presenza mafiosa:

– il consenso sociale alla mafia, caratterizzato da fenomeni di
copertura e omertà;

– il territorio sottratto al controllo dello Stato;

– il forte condizionamento della vita pubblica ed amministrativa da
parte di gruppi criminali.

Per tali ragioni e per l’anzidetta tendenza alla mimetizzazione, il
fenomeno non è percepito nella sua pericolosità, a differenza di
quanto accadeva negli anni ’80, dall’opinione pubblica locale.

Sostanzialmente, la situazione appare immutata rispetto al recente
passato, se non per il fatto che alcune famiglie criminali stanziali
si confrontano con la criminalità straniera, specie albanese.

La ‘ndrangheta è sicuramente la struttura di tipo mafioso tradizionale
che maggiormente ha tentato di infiltrarsi nel tessuto socioeconomico
della provincia, anche in ragione del locale radicamento, fuori quindi
dal territorio di origine, di numerosi soggetti ancora collegati alla
regione di provenienza.

I gruppi criminali calabresi attivi in Torino e provincia non si
comportano secondo i canoni tradizionali della presenza mafiosa ma
costituiscono comunque organizzazioni di rilevante caratura criminale
collegate, anche se con una certa autonomia, con i sodalizi delle
località d’origine, utili in varia misura per penetrare all’interno
del tessuto locale e per svolgere attività economiche.

Per quanto attiene alle altre “mafie” tradizionali, non si segnalano
attività delinquenziali rilevanti riferibili alla camorra ed alla
mafia pugliese, ma si deve segnalare la ricomparsa sul territorio di
pregiudicati legati al clan dei catanesi, sodalizio che dopo la
sconfitta nella guerra di mafia degli anni ’70 pareva definitivamente
uscito dallo scenario torinese, o al più ridotto ad un ruolo residuale
con modeste aggregazioni di pregiudicati affiliati e riconducibili a
famiglie mafiose delle regioni di origine.

Considerata l’anzidetta notevole tendenza alla mimetizzazione, è in
ogni caso difficile portare alla luce i fenomeni.

Per l’inserimento nel tessuto legale si ricorre a soggetti
appartenenti ad ambienti apparentemente slegati da quelli mafiosi, con
intento di dissimulazione dei veri soggetti agenti.

I principali settori, da gestire secondo gli stabiliti equilibri fra i
vari gruppi, sono il traffico di stupefacenti ed armi, i video-poker
con sottostanti estorsioni, i subappalti di opere pubbliche e nel
settore del movimento terra, l’usura, il riciclaggio.

Gli investimenti ingentissimi in atto per le Olimpiadi e l’alta
capacità ferroviaria, nonché per altre grandi opere, costituiscono
elemento di grande appetibilità per le organizzazioni criminali. Per
tale ragione è da tempo in atto un monitoraggio informativo in
attuazione di appositi protocolli d’intesa stipulati dalla Prefettura
con tutti i soggetti interessati, che ha consentito, attraverso la
sinergia con la Regione Piemonte, di costituire un’articolata Banca
dati attraverso cui svolgere gli accertamenti sulle imprese e sulla
filiera dei subappalti. Nel 2003 sono stati svolti numerosi controlli,
fra cui tre massicce operazioni coordinate interforze estese anche
agli organismi di vigilanza su due cantieri olimpici ed un tratto
della nuova linea ad alta capacità Torino-Milano, che hanno consentito
di acquisire copiosa documentazione utile a “fotografare” la
situazione ed a trarre spunti per approfondimenti.”

Da un’impostazione che comprendeva solo dati e statistiche, lasciando
ai destinatari ogni “lettura” ed interpretazione, si era approdati
all’idea di inserire qualche elemento per la comprensione di fenomeni
già di per sé molto complessi quali quelli criminali, altrimenti
ostici al di fuori di un pubblico di “addetti ai lavori”.

Negli ultimi anni l’amministrazione comunale di Torino non si è dotata
né di una “commissione antimafia” né di un Osservatorio che, con la
collaborazione della Prefettura e del Palazzo di Giustizia, lavori
come nel caso sopraccitato ad uno studio annuale sui dati del
“cruscotto per la sicurezza”, sui processi in corso e sulle sentenze.

La commissione comunale Antimafia dovrebbe innanzitutto contrastare il
possibile inquinamento delle attività della macchina comunale e quindi
il potere che le organizzazioni criminali possono acquisire in città.
Inoltre deve creare nei cittadini torinesi quella sensibilità
antimafia che solo gli addetti informati e i più giovani che hanno
avuto contatti con le associazioni come Libera sanno che esiste anche
nel nostro territorio.

Come sostiene da tempo la Fondazione Benvenuti in Italia: “non si
tratta di rispondere con uno strumento straordinario a una situazione
eccezionale: bisogna passare dalla straordinarietà all’ordinarietà
dello strumento. I comuni importanti devono quindi dotarsi di un
gruppo permanente che monitori appalti, subappalti, consulenze e in
genere tutte le opere pubbliche che possono essere oggetto di
interessi mafiosi o clientelari.”

Occorre convincere i cittadini che la corruzione favorisce le mafie.
Si deve cominciare dai giovani e dalle scuole.

Il Comune di Torino è socio dell’associazione “Avviso Pubblico”,
realtà nata nel 1996 per mettere in rete tutte le amministrazioni
locali d’Italia per la lotta alle mafie. Questa organizza da marzo a
maggio 2012 a Torino e provincia un corso per amministratori locali
per la formazione civile contro le mafie sui temi della trasparenza
degli appalti, della corruzione e dell’evasione fiscale.

A vent’anni dalle stragi di Mafia e dalla scomparsa dei giudici
Falcone e Borsellino, l’istituzione di commissioni antimafia nelle più
grandi città italiane, ci permette di credere ad un futuro del nostro
paese più sicuro e più rispettoso delle regole democratiche, con
cittadini consapevoli dei loro diritti e doveri e capaci di scegliere
se accettare un’offerta allettante ma ambigua o dire no.

“Resistere alla mafia non è impossibile e la storia di Torino degli
ultimi vent’anni lo dimostra, ma “la legalità deve ispirare ogni atto
e ogni comportamento di una pubblica amministrazione o di un partito”
lo ha detto il sindaco Piero Fassino all’incontro di studio sulle
“Mafie al nord” organizzato da Libera. Fassino ha osservato che il
Piemonte per la criminalità organizzata “è una tentazione” e che una
recente inchiesta della procura subalpina “ci ha messo di fronte ai
rischi”. Il sindaco, accogliendo un invito di don Luigi Ciotti,  si è
detto favorevole all’istituzione di una commissione antimafia o un
organismo analogo.

Non crediamo che serva una commissione d’indagine. Crediamo invece che
debba essere uno strumento aperto alla società civile e alle
competenze del nostro territorio capace di instituire con il
sopraccitato Osservatorio un ottimo strumento di analisi, confronto e
divulgazione delle buone pratiche (es: controlli incrociati, regole
migliori sui sub appalti, la white list delle imprese), della
penetrazione del fenomeno mafioso nel nostro territorio e del
contrasto alle organizzazioni criminali. L’art 23 del Regolamento del
Consiglio Comunale prevede l’istituzione di commissioni speciali. In
tal senso per lo svolgimento di attività connesse alle proprie
funzioni (indagini, ricerche conoscitive, predisposizione di proposte
di deliberazione ecc.) sarebbe possibile unire la Commissione Comunale
Antimafia alla prevista commissione d’indagine consiliare, ovviamente
qualora fosse necessario.

Per questi motivi crediamo che sia venuto il momento che la giunta e
il consiglio comunale discutano con la città di questi importanti
temi.

Marco Grimaldi                                 Roberto Tricarico