Ted #3: primi incontri e deriva islamista

Al primo incontro, appena sbarcati a Tunisi, conosciamo l’associazione
delle donne per la democrazia, promotrice dell’osservatorio per la
democrazia insieme a giornalisti, avvocati e attivisti per i diritti
umani già militanti durante il regime di Ben Alì. Si occupano del
ruolo delle donne nel processo di transizione e soprattutto sono
attente alle conseguenze delle scelte politiche sulla vita sociale
delle donne, in un paese che dai tempi di Bourghiba aveva fatto scelte
di apertura poco imitate nei paesi dell’area. Tra le loro ultime
attività l’osservatorio dei media denuncia una discrepanza tra parole
e realtà dei fatti: non c’è equilibrio nella composizione dei partiti,
non ci sono donne capofila, i partiti con più finanziamenti hanno
preso maggior spazio mediatico, e sono proprio le donne ad essere meno
presenti degli uomini sul palcoscenico, vengono intervistate per
ultime e le si rivolgono solo domande sul femminismo senza
riconoscerle un ruolo di expertise. In particolare un’attivista del
movimento ha ricevuto minacce gravi e ha subito una campagna
discriminatoria su Facebook per delegittimare il suo impegno. Sebbene
le indagini siano in corso, le femministe per la democrazia vedono nel
principale partito islamista e nelle liste indipendenti ad esso
collegate una causa di quest’atmosfera e denunciano il discorso
ambiguo di molti politici, una sorta di doppia faccia con cui
accontentare salafiti e modernisti.
L’associazione femminista ha reclutato e messo in campo 300
osservatori della campagna elettorale e oltre metà dei 7.000
osservatori elettorali locali, preparati con un percorso di formazione
iniziato già lo scorso giugno. Per il giorno delle elezioni c’è
preoccupazione per la sicurezza nei seggi più isolati e la
falsificazione dei risultati, timore che in altri convive con un cauto
ottimismo sulla regolarità delle votazioni.

 

La deriva Islamista

 

Pochi giorni fa la sede di Nesma TV ha subito un attacco da parte di

un gruppo salafita in seguito alla proiezione del film di animazione
Persepolis tradotto in dialetto tunisino.  “L’errore è stato mettere
in agenda questo tema come elemento centrale del dibattito politico
togliendo la scena ad altri problemi da risolvere” denuncia
l’associazione di donne per la democrazia. Ma il tema resta centrale e
nell’elegante hall della Business and management school il British
Council inaugura i New Arabas Debates (su Twitter #newarabsdebates),
una serie di incontri dedicati a comprendere il ruolo dell’Islam nel
futuro del Maghreb e dell’identità tunisina.

Chairman: “Sentirete domande scomode e potreste cambiare la vostra
idea. Da un lato rappresentanti della visione più tradizionale, come
Enhada, dall’altro i partiti modernisti.”

A: “Ribadiamo l’inviolabilità di certi diritti e la possibilità di far
convivere il nuovo corso della storia con il rispetto dell’identità
arabo-islamica e condanniamo la violenza dei recenti episodi di
intolleranza di stampo religioso, indicando i gruppi salafiti come il
nemico di una nuova Tunisia basata su una cittadinanza condivisa.”

B: “Non siamo pronti a condividere la fragile libertà con altre
posizioni. Enhada ha prima collaborato e poi abbandonato la
Commissione Elettorale e questo dimostra la discrepanza tra il
discorso pubblico e i fatti. Mostrano un approccio democratico ai
media, ma la realtà è diversa. Affermano i diritti delle donne, e poi
ritrattano dicendo che il loro posto è in casa.

Chairman:  “Perché averne timore in una democrazia?”

B: “Perché non rispettano le regole del gioco politico. Ma spero di sbagliarmi.”

A: “Prevale l’ignoranza su cosa sia veramente l’Islam. Poter essere
eletti è un diritto”.

B: “Il ruolo dell’Islam è nelle moschee, non nei partiti. Se l’Islam è
qualcosa di completo, come può vivere in una democrazia? Se diciamo
che il governo agisce in nome di Dio, chi può dire quando sbaglia? La
voce del popolo contro la voce di Dio? La scelta non è solo tra Islam
o il ritorno a Ben Alì.”

Chairman: “Cosa c’è di sbagliato nei valori islamici, come l’onestà,
la carità, ecc.?”

B: “La Costituzione non è il Corano.”

A: “Come per altri Marx, per noi il riferimento è la tradizione
islamica, ma non siamo portavoce dell’Islam, ci sono cose che non
spettano al governo.”

B: “Cosa accadrebbe per esempio con Internet? Ci sono molte ragioni
per essere spaventati”.

A: “L’altra parte agisce come se avesse il monopolio della democrazia.
È inaccettabile. In termini di identità c’è una specie di consenso sul
fatto che sia di matrice islamica.”

B: “Non accadrebbe come in Israele, una democrazia basata sulla
religione ebraica?”

A: “La nostra identità non ha nulla a che vedere con Israele”.

B: “Intendevo dire: normalizzerete le relazioni con Israele e Stati
Uniti? Avete detto che cercherete partner speciali: è lo stesso
programma di Ben Alì”.
“Mettere la religione nel discorso politico è escludente. È diverso
dichiarare di ispirarsi a una tradizione religiosa come a
un’ideologia. Ma il rischio è la protezione delle minoranze.”

A: “La libertà di espressione sarà tollerata, a meno che non offenda
la sensibilità dei credenti. Ci sono limiti, ci sono sempre stati
nella storia.”

B: “Ma siamo nel XX secolo”.

Un giovane dal pubblico: “Sono salafita, sono parte del futuro, voglio
la Sharia in Tunisia, qual è il problema?”

Chairman: “E come reagiresti se non accadesse?”

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