TAV, arresti e dintorni

 

Un punto di vista

Il nostro sulle ultime vicende relative alla TAV. Prendiamo parte al dibattito e non da oggi: fin dal 2005 ci siamo associati a chi esigeva un diverso e migliore coinvolgimento delle comunità locali nella definizione di un’opera tanto importante. Non abbiamo però mai preso una posizione nel merito, perchè all’interno del nostro movimento convivono opinioni differenti. Con questo documento collezioniamo alcune nostre convinzioni.

 

Speculazione

La storia del nostro Paese è tristemente segnata da chi, forte della propria avidità e delle giuste alleanze, ha approfittato del territorio e danneggiato la popolazione: non si contano le costruzioni tanto faraoniche quanto inutili, realizzate soltanto per far guadagnare qualche consorteria, più o meno legata alle mafie. Bene quindi che la prima reazione all’annuncio di una qualunque nuova opera pubblica sia: “Fermi tutti e fuori le carte!”.

 

Opposizione

E’ sacrosanto il diritto ad essere contrari ad un’opera del genere e a non cambiare idea. Così come è sacrosanto il diritto a manifestare questa contrarietà per persuadere l’opinione pubblica e farla diventare contrarietà maggioritaria. Ma è altrettanto doveroso accettare l’esito del processo democratico, quando questo abbia coinvolto per un tempo adeguato, tutte le istituzioni rappresentative: dai Comuni all’Unione Europea. Diversamente è la possibilità stessa di fare democrazia che salta.

 

Controllo di legalità a 360°

Tutti uguali davanti alla legge. Chi sbaglia paga: tanto chi manifesta, quanto chi deve fare rispettare la legge. Chi abusa della propria autorità, commette un reato odioso, perchè mina la democrazia alle fondamenta. In Italia su questo non possiamo permetterci di abbassare la guardia. Mai. Ma non dubitiamo che questo principio sia chiaro alla magistratura torinese e quindi ci aspettiamo provvedimenti adeguati anche in questo senso.

 

La reputazione non si improvvisa

Le Istituzioni e tra queste la Magistratura, sono sempre il frutto delle leggi che le prevedono e della qualità umana di chi le agisce. La qualità umana dei responsabili della Procura torinese è fuori discussione ed è testimoniata da decenni di attività coerente e coraggiosa a tutti i livelli. Perchè dubitarne all’occorrenza?

 

Questa non è una dittatura

Come negli anni ’70 c’è chi punta a mandare tutto in vacca, in nome della rivoluzione. C’è chi punta a dimostrare che la nostra non è una democrazia, ma un regime autoritario ammantato di democrazia. Dimostrato questo, il passo successivo è la giustificazione dell’antagonismo violento contro il sistema: “il potere non si cambia, si abbatte”. Costoro sono, oggi come ieri, impostori e pericolosi.

Nel mese di ottobre abbiamo fatto parte del corpo di osservatori internazionali che in Tunisia ha presidiato i seggi elettorali durante le votazioni per l’Assemblea Costituente. Abbiamo raccolto la testimonianza dei giovani protagonisti della rivolta che ha piegato Ben Ali. Ci dissero che, iniziati i primi scontri con la polizia, ebbero chiara una cosa elementare: se non avessero vinto, li avrebbero cercati ad uno ad uno e li avrebbero uccisi. Uccisi. Una dittatura è questo e lo sappiamo bene.

In Italia abbiamo una democrazia opaca e imperfetta, certo, ma nella quale le libertà fondamentali sono garantite: possiamo discutere, organizzarci e concorrere alla gestione del potere pubblico. E’ una strada difficile, ma è quella prevista dalla nostra Costituzione repubblicana e antifascista.

 

Chi cerca il morto?

Per cercare di mandare tutto in vacca, si devono attivare alcune tattiche precise. Una di queste prevede lo scontro frontale con le Forze dell’Ordine. Macchè nonviolenza?! Macchè sciopero della fame, obiezione di coscienza, cortei, sit-in. Tutta immondizia. Bisogna scientemente provocare la reazione delle FO. In un crescendo di attacchi, volutamente in apparenza velleitari e simbolici, che invece hanno uno scopo preciso e concreto: far saltare i nervi a qualcuno degli agenti. Ne basta uno: il più giovane, il più stanco, il più incazzato… e il gioco è fatto! Contusi se va bene. Ma può finire in tragedia. Che per questi impostori è anche meglio.

 

Antidoti

Il principio è semplice: dentro le divise ci sono esseri umani, ciascuno con il proprio corredo di cultura e carattere. Non automi. Fortunatamente però questa cosa non la sanno solo i professionisti della rivoluzione, la sanno anche coloro che a vario titolo hanno la responsabilità di governare gli apparati di sicurezza. Per questo vengono adottati molti accorgimenti e tra questi ce n’è uno fondamentale: far sentire l’operatore di polizia parte di un sistema più ampio, che comprende il valore del lavoro che svolge e non lo lascia solo. Mai.

Poche cose sono rischiose in una democrazia come l’isolamento politico degli apparati di sicurezza.

 

Il segnale

Gli arresti della scorsa settimana quindi lanciano anche un messaggio. Messaggio che ha due destinatari. Le Forze dell’Ordine: che sappiano che ciò che vengono comandate a fare nel rispetto della legge, ha il sostegno di tutto il complesso istituzionale. I professionisti della rivoluzione: che sappiano che il gioco è scoperto e che si farà tutto quello che la legge consente per non far salire la pressione, oltre quel maledetto punto di non ritorno. O dal quale si torna dopo molti morti e molto dolore.

E’ legittimo mandare “segnali” attraverso l’attività giurisdizionale? Certo che sì e come potrebbe dire altrimenti chiunque si riconosca nel lavoro che in tanti portiamo avanti sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata? Cosa altro è il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia?

 

Solidarietà

A coloro che sono in carcere. A tutti coloro che stanno nelle carceri italiane: è nota e vergognosa la condizione nella quale sono costretti a sopravvivere i detenuti, condizione che nulla ha a che fare con la espiazione della pena in un contesto civile. E tra questi i primi a cui pensiamo sono quelli rinchiusi nei CIE. Ecco, sui CIE non abbiamo mai avuto dubbi: vanno chiusi.

 

Davide Mattiello

presidente fondazione Benvenuti in Italia

Torino, 3 Febbraio 2012