OPG (Chiusi?)

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Mentre scriviamo – 30 marzo – non vi è ancora la certezza ufficiale e il rischio è di dover affrontare, come successo un anno fa, aspettative tradite. Parliamo della chiusura definitiva degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Strutture destinate alla reclusione di malati mentali autori di crimini. Strutture che Giorgio Napolitano nel 2011 definì “estremo orrore, inconcepibile in qualsiasi Paese appena civile”.

La campagna StopOpg è il polo attorno a cui, dalla prima denuncia della Commissione d’inchiesta del Senato sull’efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale, avvenuta nel 2011, si è mossa ogni iniziativa per arrivare a un reale cambiamento. Cambiamento evidenziato in questi anni dai numeri: nei sei istituti italiani si è passati dalle oltre 1.200 persone internate del 2012, alle 761 del 30 novembre 2014. Tuttavia, dal primo aprile 2015 gli Opg spariranno. Gli internati dovranno raggiungere quota zero. Ma cosa succederà alle persone condannate a una pena restrittiva a cui viene contemporaneamente riconosciuta l’infermità mentale? Lo abbiamo chiesto a Stefano Cecconi, coordinatore di StopOpg.

 

Il 31 marzo sparisce la pazzia?
Non esageriamo. Ogni caso sarà normato dalla legge 81 del 2014. Le soluzioni più prevedibili saranno la dimissione nei casi di bassa pericolosità, con la conseguente presa in carico del Dipartimento di salute mentale regionale; e l’assistenza in una Residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria (Rems).
Quella del 31 marzo 2015 è una tappa intermedia, verso l’obiettivo finale: ridare al folle-reo la piena cittadinanza; la possibilità di andare in giudizio ed essere eventualmente condannato se si è commesso un reato; scontare una pena e avere diritto alle cure per ammalati come tutti i cittadini. Questa non è ancora una conquista avvenuta. Ci sarà del lavoro da fare. Sarà finita solo quando avremo chiuso il rubinetto che continua a produrre internamenti, solo quando il ricorso a questa soluzione sarà ritenuto un’opzione impraticabile, sia oggi negli Opg, sia domani nelle residenze per malati mentali.

 

Prima i manicomi criminali, poi gli Opg, da domani le Rems: siamo a un punto d’approdo o di passaggio?
Siamo ad un punto intermedio. L’introduzione delle Rems costituisce un indubbio passo in avanti rispetto agli Opg. Migliorano gli spazi, migliorano i numeri, probabilmente miglioreranno anche le condizioni generali. Le Rems, a differenza dell’Opg, non hanno sbarre né agenti di guardia. Quel che non cambia è la vecchia idea del confinamento di uno stato di necessità, scomodo per il resto della comunità.
Per anni, i manicomi prima e gli Opg poi, hanno creato, all’interno della società, intere fasce di cittadini in “ritardo di cittadinanza“. I sociologi lo chiamano lo stigma della malattia mentale. Uno stigma che identifica il folle come una persona imprevedibile, capace di commettere qualsiasi cosa. Un marchio che è sempre esistito.
Oggi si può aprire una nuova stagione che può recuperare la grandiosa intuizione di Franco Basaglia: l’equiparazione di tutti i cittadini, anche i malati di mente, come portatori di diritti e responsabilità da assumersi di fronte alla comunità. Pertanto, se i folli avranno commesso delitti risponderanno di fronte alla comunità, e andranno in giudizio. Ma avranno il diritto alla cura.
Concretamente si tratta di un passaggio di gestione al Ministero della Sanità. Ancora non possiamo dire se abbia vinto il paradigma medico su quello giuridico, le esigenze di cura su quelle di sicurezza. Ma oggi l’impressione è che la bilancia penda più verso la riabilitazione, non più verso la punizione.

 

L’Italia è pronta alla chiusura degli Opg?
Sì. Considerate che oggi nessuno ha più il coraggio di usare la parola proroga. Le condizioni degli internati erano così spaventose, come emerso da molte indagini, che non si può più far finta di niente.
Ci sono dei problemi strutturali, molte regioni non sono ancora pronte al cambio, e come ha detto il sottosegretario alla Salute, De Filippo, “per i territori dove non verranno superati gli Opg, saranno attivate procedure commissariali”.
Ci sono dei problemi culturali: lo stigma dei malati di mente permane, non c’è dubbio. Ma oggi è più forte la vergogna. Vergogna per la condizione in cui il nostro Paese relega parte dei suoi cittadini. Cittadini che mostrano uno stato di bisogno. C’è di fondo una potente trasformazione sociale.

 

Il coordinamento StopOpg ha organizzato per questo mese un digiuno a catena per attirare l’attenzione sulla scadenza del 31 marzo ed evitare un’ulteriore proroga…
Questa iniziativa ha avuto una risposta straordinaria. A dimostrazione che c’è una società civile molto viva. È stato un segnale importante di persone che hanno scelto di metterci il proprio corpo, rimanere nudi con i propri bisogni, con la fame che avanza. Il fatto che molti abbiano aderito è un segnale di speranza. Ed è questa speranza che darà la spinta per continuare. Dobbiamo continuare per togliere di mezzo ogni artificio, ogni trucco, ogni stigma.

 

Da Gruppoabele.org