Rinunce lavorative

 Guardare alla capitale di questi giorni è utile per farsi un’idea di quello che succede nel nostro Paese e di come stia la gente che lo popola. Soprattutto nei quartieri dove si trovano i palazzi ministeriali.

La settimana scorsa per le vie del centro, nei pressi del Ministero dello Sviluppo Economico, si muovevano gruppi di minatori sardi. In testa un elmetto colorato e in bocca frasi ritmate su lavoro, famiglia e dignità. Insomma, diritti.

I minatori stanno per perdere il lavoro perché ciò che producono non ha mercato e al governo costa troppo mantenerli. Possiamo rinunciare ai minatori del Sulcis? E agli operai dell’Ilva, ai maestri degli asili pubblici?

Guardiamo di nuovo a Roma: la Commissione speciale dell’Informazione ha presentato il 18 settembre il Rapporto sul mercato del lavoro 2011-2012 davanti al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel).

Potete scaricare il rapporto CLICCANDO QUI

Il rapporto parla chiaro, coloro che più ne sono esclusi sono i giovani. “Rispetto al 2008 si sono persi oltre un milione di occupati di età inferiore ai 34 anni, solo parzialmente compensati dalla crescita dell’occupazione di età superiore”. Nel 2011 l’occupazione è aumentata, seppur di poco. Il problema è che dei 96.000 nuovi assunti rispetto al 2010, la percentuale dei giovani è nettamente surclassata da quella degli over 45. La società sta invecchiando e nel mercato del lavoro si trovano nuovi e più esperti concorrenti. Se a questo si aggiunge la riforma delle pensioni che rilancia sull’età pensionabile (entro breve arriveremo ai 70 anni) è comprensibile la difficoltà per i giovani a trovare spazio.

Il Rapporto sostiene che “il mercato del lavoro non ha ancora risentito, se non in misura marginale della nuova recessione. I risultati recenti, se rapportati all’evoluzione del quadro macroeconomico complessivo, non sono quindi così sfavorevoli, considerando che fino a inizio 2012 le ore lavorate si sono ridotte con gradualità mentre l’occupazione addirittura non è mai scesa”. 

Eppure nel 2011, al contrario degli obiettivi dichiarati dal governo, sono aumentati i lavoratori con un contratto a termine (del 5,5% in più rispetto al 2010), mentre si è ridotta l’occupazione autonoma, soprattutto legata alle piccole imprese (nel 2001 gli occupati indipendenti erano 6.1 milioni, nel 2011 risultano 5.7 milioni. Rispetto al 2010, sono stati persi altri 51 mila occupati autonomi). È in aumento anche il numero “di lavoratori a tempo parziale involontari, ovvero coloro che lavorano part time perché non hanno trovato un lavoro a tempo pieno”.
Note positive: l’occupazione è più favorevole per i lavoratori stranieri e per le donne. Gli immigrati stanno “accontentandosi” di lavori in settori con richiesta, come quello dei servizi alle famiglie.

Le perdite di reddito nel nucleo familiare costringono molte donne a fare il “lavoratore aggiuntivo”. In tutto 111mila nuove forze di lavoro femminili e 202mila nuovi attivi immigrati.

Purtroppo è in costante aumento il tasso di disoccupazione. Si calcola che tra il 2011 e il 2020 il numero dei disoccupati aumenterà di oltre 1,5 milioni di persone per la popolazione d’età compresa tra 15-66 anni con una forte riduzione dei giovani attivi italiani (oltre 515mila) e degli adulti fino a 54 anni.

Sintetizzato: nuovi posti ce ne sono pochi. I giovani non riescono a entrare perché ciò a cui ambiscono ha candidati più esperti. Quel poco che si crea prevede contratti a termine e quello che c’è già è spesso oggetto di tagli e revisioni della spesa.

 

Roma: questa settimana si sono riuniti i meno coloriti e meno rumorosi dipendenti del Senato. Anche loro minacciano lo sciopero se non verranno mantenuti gli scatti automatici in busta paga. Scatti sacrificabili, secondo la spending review.

Questi professionisti, al pari dei minatori del Sulcis (e di moltissimi altri in Italia) ritengono, nel caso avvenissero i tagli previsti, tradito il loro contratto. Parliamo di figure quali assistenti parlamentari, coadiutori, segretari, stenografi e consiglieri. Lavoratori dipendenti degli organi istituzionali, dal Senato alla Camera, dal Cnel alla Corte costituzionale, che godono di meccanismi automatici di progressione degli stipendi, che per tutti gli altri impiegati pubblici sono stati aboliti circa vent’anni fa. Meccanismi che ancora oggi consentono nell’arco della carriera, di moltiplicare lo stipendio fino a 5 volte tanto – un consigliere parlamentare gode, in 40 anni di carriera, di un aumento di retribuzione che va dagli iniziali 85.415 euro annui ai 417.037 euro prepensione – al di là di ogni valutazione sul merito. Riportando i calcoli di Rizzo e Stella, dal Corriere della Sera del 17 gennaio 2012, “Palazzo Madama: nel 2010 spendeva per stipendi ed emolumenti vari del personale dipendente, escluso quello a tempo determinato, 137.085.372 euro. Il che significa che, risultando 938 dipendenti, la retribuzione media lorda era di 146.146 euro. Più i contributi”.

Possiamo rinunciare agli impiegati del Parlamento? No. Ma potremmo rinunciare a qualche loro privilegio.