Processo Giovine, nonne e zie testimoni latitanti

La Stamp – Alberto Gaino
Torino

Al processo Giovine, padre e figlio, imputati di aver falsificato le firme di 19 dei venti candidati della loro lista «Pensionati per Cota», avrebbe dovuto deporre la testimone più anziana, Clementina Torello, 91 anni. «Non apre la porta», annuncia il pm Patrizia Caputo. «Sono andati due volte i vigili urbani, una volta un ufficiale giudiziario a notificarle la citazione. E’ in casa, ma non apre».

Tocca alla seconda testimone-candidata Rosina Trigila, settantunenne. «Irreperibile. A casa lei non risponde nemmeno al citofono». Vai con la terza, Vera Vaccari: «Ha mandato un certificato medico». E allora passi la quarta, Maria Ferraris di Vercelli. «Deceduta». Restano da sentire i coniugi-candidati Carlo Tirello e Renza Carla Bongiovanni di Nizza Monferrato, fra i dieci indagati di falsa testimonianza al pm. Fuori nel corridoio non ci sono. Assenti ingiustificati: verranno accompagnati dai carabinieri la prossima udienza. Fine rapidissima dell’udienza, processo che prospetta tempi laboriosi. L’avvocato Gian Paolo Zancan, parte civile: «La tattica dilatoria degli imputati si estende ai testimoni».

Fuori, il consigliere regionale Michele Giovine sembra di ottimo umore e sta al gioco. La zia di suo padre non apre la porta, cosa le avete consigliato? «Per carità, non sta troppo bene». Un avvocato al suo fianco prova ad ironizzare: «Mi raccomando, il pranzo di Pasqua fatelo separati dai parenti». Giovine allarga la braccia a mo’ di imputato dalle mani pulite, un angelo: «Vogliatemi bene, voi giornalisti. Non sono un cattivone».

Alza lo sguardo al cielo schiacciato sul plexiglass di una tettoia e osserva: «Mi bastano 9 candidati validi». Così può finire la seconda consiliatura e garantirsi una pensione ben diversa da quella Inps di vecchiaia.

«Questa volta non finiamo la legislatura». Prevede che i giudici annullino le elezioni regionali 2010 e si torni a votare in Piemonte? La risposta era chiara, ma è sempre meglio avere qualche dettaglio in più. E qui il pensatore si desta: «Volevo dire “la finiamo qui”, nel senso che Bresso non vincerà il processo. Non mi faccia dire cose per cui Cota poi mi ammazza».

Dica la verità: Cota la sta tenendo a distanza come un reietto? «Non è vero». Nel senso che le è riconoscente? Lei si è sacrificato: con un patteggiamentino si sarebbe evitato tutto questo imbarazzo dovuto alla pubblicità non positiva del processo. «Ma io sono innocente». Lo sguardo vira sull’ironico. Poi l’uomo politico emerge: «Per me il voto ha sempre ragione». Quello già espresso.