Operazione Minotauro prime due condanne

 

Fonte: La Stampa – Francesco D’Onofrio, il primo condannato – a 15 anni di caDrcere in abbreviato – per le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Torinese, sventate dall’Operazione Minotauro dei carabinieri, è diventato uomo di rispetto della mafia calabrese dopo essere stato negli anni Ottanta prima un rapinatore, poi un terrorista e dopo ancora un’altra volta rapinatore. Aveva grande dimestichezza con le armi e i pm Roberto Sparagna e Monica Abbatecola l’hanno accusato di essere il reggente del Crimine: la «bocca di fuoco» a disposizione di tutti gli associati nell’organizzazione mafiosa da queste parti.
Trent’anni fa, D’Onofrio si sarebbe politicizzato in carcere con altri complici di assalti a banche e gioiellerie. Alberto Bernardi, il magistrato che si occupò in particolare di Prima Linea, si imbattè in lui scoprendo un agguato al medico delle Nuove sotto l’abitazione del professionista. Si era ai colpi di coda del terrorismo: sulle ceneri di Prima Linea era stata costituita a Torino una cellula dei Colp (Comunisti organizzati per la liberazione del proletariato) con covi in Borgo San Paolo. D’Onofrio fu raggiunto dal mandato di cattura nel carcere svizzero di Briga, dopo un arresto per rapina. A Torino lo condannarono poi a 12 anni.

In questa nuova vita da ‘ndranghetista di rango via via crescente grazie ad amicizie importanti e non solo alle comuni origini calabresi, Francesco D’Onofrio, detto Franco, è riuscito a diventare anche imprenditore: casa a Nichelino, dove i «suoi» si erano saldamente insediati, e attività a Cinzano d’Alba. Là, la società Ariete, «roba» dell’ex terrorista, gestisce una casa di riposo. Gli è stata confiscata.

Forse per il suo atipico percorso criminale «Franco» aveva sorpreso gli inquirenti inviando loro in vista dell’udienza preliminare (arrivata in anticipo per chi come lui, altri «capi», è in carcere da 15 mesi) un sorprendente memoriale. In cui D’Onofrio non contesta gli incontri dell’«onorata società» in bar di periferia o in ristoranti dell’hinterland e sostiene: «Quale mafia! Sono calabrese, fiero di esserlo e frequento altri calabresi, che male c’è?».

Fra i suoi frequentatori c’era Francesco Tamburi, classe 1936, altra generazione e percorso di iniziazione alla ‘ndrangheta. Originario di Siderno, venne nel Torinese ad occuparsi di ristorazione – suo è il locale Scacco Matto di Grugliasco – e di diplomazia mafiosa con la carica di «capo società». Il gup Alessandra Bassi lo ha condannato a 8 anni per il reato associativo, i suoi avvocati (Aldo e Luigi Albanese) sono però riusciti a fargli restituire le sue quote del ristorante.