Okkupare o occupare?

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Okkupare, Occupare, Occuparsene

 Di Francesco Regalzi

Okkupare, rigorosamente scritti con una durissima “K”, è stato a lungo e probabilmente è ancora un verbo – quasi un mantra – di gran parte del mondo radicale italiano. Okkupare voleva dire prendere possesso, riappropriarsi di uno spazio su cui si vantavano dei diritti per restituirlo alla collettività, o almeno a una certa idea di collettività: l’esempio classico è quello del Centro sociale okkupato.

Poi qualcosa è cambiato: era il 17 settembre 2011 e a New York migliaia di persone si riunivano al grido di Occupy Wall Street. Simili manifestazioni si svolgevano in contemporanea in altre città per protestare contro gli abusi del capitalismo finanziario, ritenuto uno dei principali responsabili dell’attuale crisi globale. Da quel momento, iniziative analoghe si moltiplicano in tutto il mondo. “Occupiers” e “indignados” si riappropriano delle strade e delle piazze per denunciare le diseguaglianze e le ingiustizie che sono presupposto e conseguenza di questa crisi.

Oggi occupare è diventato (anche) preoccuparsene e occuparsene. Acmos, promuovendo questa spinta che già aveva fatto sua con il lancio del network weCare, ha battezzato la sua ultima Campagna per la Cittadinanza “Occupa la Repubblica”, con l’intento esplicitato di invitare i giovani a farsi carico della Cosa pubblica e a occuparsi responsabilmente di essa.

Ma nel clima di mutamenti che accompagna la politica e i partiti in tutto il mondo – e quindi anche in Italia – e che spinge Benvenuti in Italia a guardare a nuove modalità di interazione politica, questa nuova tendenza a “occupare per occuparsene” ha contagiato anche il PD. Così un gruppo di giovani (e meno giovani) iscritti e simpatizzanti del principale partito della sinistra italiana hanno deciso di riunirsi e organizzarsi per contestare la linea politica portata avanti dalla classe dirigente del PD e le sue modalità di decisione.

Nei partiti – e in quelli di sinistra in particolar modo – non sono mancate negli anni polemiche e prese di distacco di varia natura, spesso legati alla nascita o alla ridefinizione di dinamiche correntizie, ma #occupyPD ci sembra un fenomeno sostanzialmente nuovo, per molte ragioni: la spinta generazionale (che non si può tuttavia ridurre a protagonismo giovanilistico), l’attenzione per il web e la comunicazione virale (attenzione di cui la sinistra italiana avrebbe tanto bisogno), la voglia di coinvolgere energie anche al di fuori della cerchia degli iscritti al partito. Non sappiamo quale sarà il successo di questo movimento, ma da analisti possiamo ipotizzare che la sua nascita e la sua diffusione ci sembrano fin da ora testimonianza di un ulteriore mutamento del modo di fare politica di cui si dovrà inevitabilmente tenere conto in futuro.