Mediterranea: inverno Siriano

INVERNO SIRIANO

La primavera tarda ad arrivare in Siria. Quasi un anno di rivolta ha prodotto fra i 5mila e gli 8mila morti, a seconda delle fonti, e un plebiscito sulla nuova Costituzione che non stupisce nessuno. Secondo il New York Times, le manipolazioni dei voti non sarebbero nemmeno state necessarie: l’opposizione siriana sarebbe a pezzi, permettendo a un trionfante Al-Assad di gloriarsi dell’89% dei votanti a favore del nuovo ordinamento. In particolare, la votazione sarebbe stata indetta per sostenere dall’interno le posizioni di Russia e Cina – il cui veto sul non-interventismo da parte delle forze internazionali dava una improbabile fiducia alla presunta moderazione dell’attuale presidente. Le speranze riposte nella maggiore mitezza di quest’ultimo, se confrontato con il padre Hafez, si sono sgonfiate davanti ai morti di questi mesi. A conti fatti, la nuova Costituzione ne preserva il potere ancora a lungo: il limite a due mandati di governo – che durano sette anni – scatterà solo alla fine del mandato corrente. Dal momento che Bashar è in carica dal 2000, gli ulteriori 16 anni che gli spettano di diritto limiteranno il suo potere a 28 anni – soli due anni in meno di quello del padre.

La caratteristica emergente di questa, ormai, guerra civile, è il ruolo dei mezzi di comunicazione. Per una volta è impossibile rimproverare ai giornali di essere autoreferenziali – le informazioni stanno uccidendo. Un articolo dei giorni scorsi della Columbia Journalism Review sottolinea come, rispetto al racconto delle rivolte in Egitto (“exhilaratingly accessible”) o in Libia (“mortalmente pericoloso”), la Siria sia semplicemente off-limits. Chi ha deciso di esserci ciononostante non è tornato a casa, come Marie Colvin e Anthony Shadid. Gli altri devono districarsi in una nebbia di telefonate con contatti locali, voci contrastanti e centinaia di video pubblicati su YouTube. Questa generale foschia narrativa permette casi di strumentalizzazioni estreme, come quella del misterioso Syrian Observatory for Human Rights.

Secondo la BBC, si tratta di un piccolo organismo di opposizione con base a Londra e contatti in Siria. Composto da circa 240 membri operativi, è un’essenziale fonte di notizie per gli impotenti cronisti occidentali. Il dato di 7mila morti citato dalla maggior parte dei mass media deriva dalle loro rilevazioni. Così come le – documentate – violazioni dei diritti umani, che hanno portato le Nazioni Unite ad accusare il governo siriano di crimini contro l’umanità, con un report di 72 pagine uscito lo scorso 23 febbraio.

Peccato che, secondo fonti siriane, questo organismo semplicemente non esista. Il blog SyriaNews, riprendendo un’agenzia, sostiene che l’indirizzo indicato dagli organizzatori non sia altro che un negozio di vestiti. E che abbiano declinato ogni contatto con i diplomatici russi, dimostrando così di non avere credibilità. Questa informazione, data da un sito che definisce pretestuose le accuse dei Paesi occidentali nei confronti del governo, non ha di per sé molto valore. Ma ne acquista, se si ritrova la seguente dichiarazione del portavoce russo Alexander Lukashevich, riportata anche dal sito dell’ambasciata russa nel Regno Unito, sull’argomento: “Secondo le informazioni disponibili, ci sono solo due persone (il responsabile dell’agenzia e il suo interprete) che lavorano nell'”osservatorio”. E’ gestito da un Rami Abdulrahman che non solo manca di istruzione in giornalismo o legge, ma addirittura di qualsiasi educazione superiore. […] E’ proprietario di uno snack-bar. Il fatto che i rappresentanti dell'”osservatorio” evitino ogni contatto con i nostri diplomatici sembra altrettanto sospetto. Secondo la mia opinione, questi fatti in sé dimostrano che le informazioni fornite da questo organismo non sono affatto affidabili.”

La manipolazione delle informazioni raggiunge così l’alta diplomazia – come ricordato sopra, il veto di Cina e Russia sono stati fondamentali per permettere che la repressione continuasse a portare lutto in Siria. E, dal basso, frammenta l’opposizione con dubbi indotti, concedendo a Bashar Al-Assad una fiducia che non merita.

Fonte: http://acmos.net/2012/02/inverno-siriano-la-guerra-delle-notizie

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UNA FINESTRA SULLA TUNISIA

La Rivoluzione dei Gelsomini in mostra. Parte della rassegna fotografica è esposta nella sala grande della Fabbrica delle E, la sede del Gruppo Abele in c.so Trapani 93, a Torino.

Le foto, ad opera di Sergio Galasso e Tiziana Martello, sono state realizzate durante la missione di osservazione elettorale che ha avuto luogo lo scorso ottobre, quando una delegazione della società civile italiana rappresentata dal comitato Salvagente, Benvenuti in Italia, Libera, Acmos e Assopace ha presidiato i seggi di Sidi Bouzid, dove pochi mesi prima era scoppiata la rivoluzione tunisina. Si trattò delle prime elezioni libere dopo anni di corruzione e frodi da parte dell’entourage del dittatore Ben Alí. Un passo decisivo per la democrazia che ha dato vita all’Assemblea Costituente e a un governo provvisorio in carica sino al prossimo ottobre.

Nelle foto di quei giorni concitati in cui il processo elettorale si è svolto nella totale trasparenza e correttezza e ha portato al governo il partito di ispirazione islamica Ennahda, risaltano i volti delle donne di ogni generazione, alcune con il velo, altre senza, testimoniando la partecipazione a quel momento storico tanto atteso.

Una finestra sulla Tunisia che al di là dei riflettori dei media che ora raccontano del sangue delle strade della Siria dove la Primavera Araba fatica a scalzare il potere violento di Assad, ci ricorda come il cammino democratico vada nutrito e protetto giorno dopo giorno. Anche per questo motivo una delegazione italiana coordinata dall’associazione Itinerari Paralleli è partita oggi verso sud per incontrare i protagonisti di quei giorni e capire insieme a loro quali collaborazioni possibili per sognare insieme il futuro.

Foto che divengono specchio della realtà dell’immmigrazione maghrebina in Italia costretta nelle degradanti prigioni dei CIE. Realtà che si richiamano a vicenda e che interrogano il ruolo del nostro paese nel costruire un Mediterraneo unito, libero e democratico. Valori e speranze catturati negli sguardi dei tunisini per la prima volta al voto.
http://acmos.net/2012/02/una-finestra-sulla-tunisia

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“AMICI DELLA SIRIA” VOGLIONO MISSIONE ONU

Stati Uniti, Europa e Paesi del Golfo lanciano l’ultimatum ad Assad e chiedono missione “di pace” alle Nazioni Unite dopo cessate il fuoco. Russia e Cina contro, parte consistente dell’opposizione siriana anche. Domani referendum per la nuova costituzione.
IKA DANO

Roma, 25 Febbraio 2012, Nena News – Gli “Amici della Siria” si sono incontrati ieri nella capitale tunisina. Rappresentanti di 60 nazioni – con a capo Stati Uniti, Europa e Paesi del Golfo – hanno discusso con alcuni gruppi dell’opposizione siriana il piano d’azione per risolvere la crisi: la ricetta sarebbe un accordo di tregua immediato e l’invio di una missione “di pace” ONU. In caso il regime di Al Assad si mostri riluttante, ci si tiene aperta l’opzione di armare ulteriormente gli insorti ed applicare nuove sanzioni che isolino Damasco. Per l’Arabia Saudita non è abbastanza, e il ministro degli esteri abbandona l’aula. Ma sembra i conti siano stati fatti senza l’oste: il secondo fronte di opposizione siriano rifiuta di partecipare alla conferenza perchè “dannosa”, ed i membri permanenti ONU Cina e Russia fanno altrettanto, contrari ad un intervento militare occidentale.
La Francia ha comunicato che l’Unione Europea congelerá i fondi della banca nazionale siriana sotto giurisdizione europea lunedì prossimo, e il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha assicurato che verrá dato un giro di vite anche alle sanzioni da parte di Washington. Ma i toni vanno oltre: “Gli Stati Uniti e i suoi alleati sono pronti ad usare qualsiasi mezzo necessario per porre fine allo spargimento di sangue” per mano del regime di Bashar al-Assad, ha dichiarato ieri il presidente americano Obama all’agenzia AFP. Il senatore John McCain gli fa eco chiedendo di armare i ribelli. E il Clinton si lascia andare ad un dipinto manicheo, attaccando ancora una volta i grandi assenti alla conferenza Cina e Russia: il loro veto all risoluzione ONU per un intervento militare il 4 febbraio scorso sarebbe stato “doloroso”, mentre “donne, uomini, giovani coraggiosi vengono massacrati”. Pechino e Mosca evidentemente non starebbero dalla parte del popolo siriano.
Un popolo siriano che però non è affatto unito nel supporto ad un intervento esterno. Il Coordinamento Siriano per il Cambiamento Democratico (CSCD) di Haytham Manna, polo di opposizione a cui fanno capo diversi partiti di sinistra e curdi, fa sapere che all’ultimo momento ha deciso di non accogliere l’invito alla conferenza di ieri, perchè non tutti i gruppi di opposizione avrebbero ricevuto pari riconoscimento come legittimi rappresentanti del popolo. Il CSCD avrebbe inoltre assistito a “tentativi di lasciare aperta la finestra militare, sia in relazione alla militarizzazione dell’opposizione che per l’intervento straniero” – si legge oggi in una dichiarazione ufficiale – “Tutto questo è in diretto conflitto con gli interessi del popolo siriano, i suoi confini, la sua unità e la sua lotta per la dignità, la democrazia e la giustizia – che è l’essenza della rivoluzione siriana”.
Di altro avviso il Consiglio Nazionale Siriano di Burhan Ghalioun, che appoggia la proposta dell’Arabia Saudita di fornire armamenti e munizioni agli insorti ed in particolare al Libero Esercito Siriano basato in Turchia, e si auspica “ogni tipo di assistenza e aiuto per proteggere i nostri fratelli e sorelle in lotta per mettere fine alla tirannia” – l’agenzia Associated Press riporta Ghalioun da Tunisi. Il Consiglio starebbe lavorando per una Siria che rispetti i diritti di tutti, libera “dal dominio di una famiglia mafiosa”.
Un obiettivo che anche per altri gruppi di opposizione come l’organizzazione “Costruire lo Stato Siriano”, intervistato a Damasco dall’agenzia AFP, si può raggiungere solo con un governo di transizione che includa esponenti del governo attuale, perchè i gruppi di opposizione sarebbe frammentati e incapaci di guidare un processo di transizione. Come il Coordinamento di Manna, il movimento liberale è contrario ad un intervento militare estero, timoroso che alcuni gruppi si schiererebbero con le forze internazionali ed altri contro. Uno scenario che assomiglierebbe molto ad una guerra civile.
Non per niente, dalle Nazioni Unite c´è cautela, e la raccomandazione al dialogo tra regime e opposizione arriva anche da parte dell’Alto Commissario per i Diritti Umani dell ONU. Il report commissionato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite pubblicato due giorni fa intanto documenta i soprusi del regime di Assad, ma sottolinea anche gli abusi perpetrati da gruppi di ribelli armati, composti soprattutto da disertori dell’Esercito siriano. Secondo fonti citate dall’agenzia Reuters, il contrabbando di armi leggere e strumenti militari per via di formazioni operanti alle frontiere siriane e supportate dell’estero, sarebbe fiorente. Ora ci si starebbe attrezzando per fornire i ribelli dell’Esercito Libero di missili anti-aerei e anti-carro.
Secondo dati dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, le vittime di 11 mesi di rivolte sarebbero già 7 600. Il governo di Assad da parte sua denuncia più di 2 000 morti tra le sue file.
Questo il punto fermo della Russia, storico alleato della Siria opposto alle interferenze occidentali: la violenza deve finire da entrambe le parti, e un cessate il fuoco di due ore al giorno deve essere raggiunto quanto prima per permettere l’evacuazione di civili feriti. L’agenzia di stato siriana SANA cita oggi il giornalista cinese Yan Chai Jing, che avrebbe confermato la ferma opposizione di Pechino ad un intervento, ritenendo l’incontro degli “Amici della Siria” illegale, tanto quanto le decisioni prese in suo seno. E per bocca del russo Vyatcheslav Aldonysov, membro dell’Accademia di Geopolitica, l’agenzia SANA ribadisce l’alleanza Damasco-Mosca: l’Occidente è accusato di strumentalizzare gli slogan di democrazia e diritti umani come pretesto per minare la Siria.
Domani, la contromossa del regime, che ha chiamato i suoi cittadini a votare per referendum la nuova costituzione. Pluralismo partitico con quattro nuovi partiti legalizzati e altri cinque in via di legalizzazione, cancellazione della legge di emergenza in vigore dal 1963, elezioni presidenziali e locali per imboccare un cammino di riforme, che – pur dovendo ancora dimostrare la sua credibilità – appare un’alternativa migliore alla ripetizione dello scenario libico in Siria.
Nena News.

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YEMEN, L’ELEZIONE FORZATA. HADI IN CARICA DA SABATO

L’affluenza è stata del 60 per cento. Ha vinto Hadi, unico candidato, tra boicottaggi e violenze. E mentre alcuni si interrogano sulle modalità della transizione, il mondo plaude al nuovo, vecchio Yemen democratico.
GIORGIA GRIFONI

Roma, 23 febbraio 2012, Nena News. Continua il cammino verso la transizione democratica in Yemen. L’affluenza alle urne ha raggiunto il 60%: l’unico concorrente, il vicepresidente Abdel Rabbo Mansour al-Hadi (uomo di fiducia dell’ex-presidente Saleh e candidato del consenso tra maggioranza e opposizione) è il nuovo presidente dello Yemen. Entrerà ufficialmente in carica sabato e governerà per un periodo di due anni. Il voto è stato accompagnato dal boicottaggio – da parte dei gruppi separatisti del sud e delle confederazioni tribali sciite del nord – e da violenze, che finora hanno provocato 10 vittime nelle città meridionali di Mukalla, Lahj e Aden, dove è rimasto ucciso anche un bambino di 10 anni. Ma nonostante tutto, la comunità internazionale plaude alla svolta democratica yemenita: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è congratulato per il voto “piuttosto pacifico”, come anche la Gran Bretagna, che lo ha definito “un successo”.
Le presidenziali hanno interessato circa 10 milioni di cittadini su una popolazione di quasi 24 milioni di persone. Sono il risultato dell’accordo firmato lo scorso novembre a Riyadh tra i membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, guidato dall’Arabia Saudita, e il presidente yemenita Saleh, contestato per un anno dalla piazza e fautore di una repressione che ha provocato centinaia di vittime. Dopo la firma, Saleh avrebbe dovuto lasciare definitivamente il potere e il Paese. Invece, controlla ancora l’apparato militare tramite i suoi parenti e la politica grazie al suo vice, ora presidente. Nel Paese, ci è tornato subito dopo la firma, prima di andare a “curarsi” negli Stati Uniti: giusto in tempo per concedere un’amnistia generale – che in teoria non aveva più potere di concedere dalla cessione dei poteri a Hadi – e per assicurarsi un’immunità ad personam. E ora, promette di presentarsi per la cerimonia d’insediamento del suo alleato. Ma quella che inizialmente sembrava una visita simbolica, adesso assume sempre più i contorni di un ritorno definitivo: secondo il giornalista yemenita Mohammad al-Qadhi, riportato da al-Jazeera, il portavoce di Saleh ha affermato che “Saleh potrebbe mettersi a capo del partito, e non c’è niente nell’accordo del CCG che gli impedisca di farlo”.
Intanto, il sostegno all’elezione di Hadi arriva da molti. Tra le potenze occidentali spicca quello degli Stati Uniti, che per bocca del loro ambasciatore a Sanaa si erano detti “contenti che il consenso sia arrivato da ogni parte”. Due giorni fa, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha dichiarato che “le elezioni sono un chiaro messaggio che la gente, in Yemen, sta guardando verso un futuro più democratico”. Ma il supporto a Hadi è giunto anche dall’interno del Paese: dal Fronte Comune dei partiti di opposizione, ad esempio, e da alcuni gruppi che hanno guidato la rivoluzione yemenita. Tra loro, anche il primo generale defezionista Ali Mohsen al-Ahmar e il premio Nobel per la pace Tawakkul Karman, una tra le più eminenti contestatrici del regime in Yemen, che ha definito l’elezione di Hadi “il frutto della rivolta dei giovani”.
Ma i giovani, su Twitter, non la pensano tutti come lei. Nonostante il voto per Hadi sia considerato da molti internauti più come la speranza di una nuova era senza Saleh che come un’elezione pilotata e antidemocratica, tanti denunciano un semplice ricambio di personalità piuttosto che una vera transizione. “Siamo scesi nelle strade –twitta Atiaf Alwazir – per chiedere un cambiamento totale del sistema, non per sostituire semplicemente le persone. Continueremo a lottare per i nostri diritti”. Ancora più diretta Raja Althaibani, che si dice “contenta di non essere in Yemen in questo momento. Non voglio far parte di queste elezioni. Siamo costretti a votare per un membro del regime. Ci stiamo forse perdendo qualcosa?”. Il pensiero va soprattutto al futuro del Paese che, con il boicottaggio da parte dei separatisti del sud e gli Houthi del nord, la povertà e la corruzione che dilagano e al-Qaeda che attanaglia intere città, rischia di essere ancora più difficile nonostante il cambio di personalità. Come intuisce Hana’ al-Khamri: “Il presidente entrerà in carica sabato. Il danzatore se n’è andato, i serpenti rimangono. E il pantano politico dello Yemen continuerà”. Nena News.

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Yemen, malnutrizione e povertà nel paese sempre più instabile

Oggi le elezioni. L’atmosfera è sospesa e carica di tensione, in una nazione spaccata in tante frazioni e in piena crisi economica. Manca la luce elettrica, che è garantita solo 2-3 ore al giorno, il petrolio è raddoppiato da luglio e ci sono 100 mila persone che hanno abbandonato le loro case. Il racconto di un capo missione di INTERSOS

SAN’A’ – “Viviamo in un clima di tensione, lo Yemen percepisce l’attesa del voto di oggi, martedì, come un paese spaccato e sempre più in emergenza: crisi economica, incertezza e scontri tra fazioni stanno gettando in ginocchio il paese”. A parlare da Sana’a è William Strangio, responsabile INTERSOS 2 in Yemen, alla vigilia delle elezioni, che – appunto – si svolgeranno nella giornata di oggi e che vedono il vicepresidente Mansour Hadi unico candidato a successore del presidente Saleh, dimessosi dopo 33 anni al potere. Le spinte separatiste al Sud e al Nord, la radicata presenza di gruppi estremisti e la grave situazione economica e sociale tengono lo Yemen in uno stato di instabilità, in cui la transizione democratica appare a rischio, dopo un anno di proteste che hanno sfiorato la guerra civile.

La testimonianza. “La luce elettrica – dice ancora Strangio – arriva solo per 2-3 ore nelle case, il prezzo del petrolio è raddoppiato dallo scorso luglio e con questo tutti i prezzi alimentari, compresa l’acqua che per la maggior parte degli yemeniti non c’è e viene comprata dalle autocisterne. A Sana’a, in queste ore – racconta ancora il rappresentante di INTERSOS – c’è una calma relativa, non si registrano attentati o scontri, mentre ad Aden le minacce di nuove violenze ci inducono a adottare misure severe di sicurezza per il nostro staff per continuare a portare soccorso agli sfollati e ai rifugiati, che hanno raggiunto ormai cifre eccezionali in tutto lo Yemen”.

Più di 100 mila sfollati. Oltre 100.000 persone sono sfollate nei sobborghi di Aden e ricevono assistenza da INTERSOS. Le famiglie fuggite dagli scontri armati tra truppe governative e milizie islamiste a Zinjibar, nella regione di Abyan, sono alloggiate dall’estate scorsa in 75 scuole della città e in alloggi di fortuna. “Ci sono due diritti in conflitto” – spiega il capomissione della Ong – quello degli sfollati a trovare accoglienza e riparo e quello dell’educazione delle migliaia di ragazzi e ragazze che non possono andare a scuola”.
Sono stati distribuiti beni di prima necessità ai nuclei familiari per sopravvivere lontano da casa. Il team di protezione di INTERSOS dà sostegno psicosociale a donne e bambini scappati dalle violenze, e ci si occupa dei casi più gravi di disagio psicologico e attraverso i child friendly space, luoghi protetti per l’infanzia. I continui combattimenti e attentati nell’area di Abyan non permettono agli sfollati di rientrare nelle loro case e la crisi umanitaria è inasprita dalle dure condizioni economiche che stanno impoverendo lo Yemen.

Da 11 anni sul campo. INTERSOS dall’inizio delle violenze e dei disordini nel 2011 sta portando soccorso alla popolazione yemenita sfollata a San’a, ad Aden e ad Harad, a pochi chilometri dal confine con l’Arabia Saudita, continuando il lavoro che svolge dal 2008 in favore dei rifugiati e migranti dal Corno d’Africa. Lo staff formato da oltre 100 operatori umanitari nazionali e internazionali in Yemen indirizza l’aiuto non solo sulle esigenze fisiche dei più fragili tra le vittime, ma interviene anche nell’aspetto psico-sociale e sui bisogni di assistenza psicologica, di protezione, di accesso all’acqua potabile e di miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie.

Fonte: republica.it

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Roma, martedì 21 febbraio ore 15 presso la Casa dei diritti sociali via dei Mille, 36

Conferenza stampa della delegazione delle famiglie dei migranti tunisini dispersi

La delegazione dei familiari dei migranti tunisini dispersi, in Italia da 15 giorni per lunedì 20 ha fatto la richiesta di entrare nel Cie di Ponte Galeria e martedì 21 sarà davanti all’Ambasciata tunisina alle 9.30 e a un incontro al Viminale alle 12

Continua in Italia e in Tunisia la mobilitazione delle mamme e delle famiglie dei migranti tunisini dispersi.
La loro richiesta alle istituzioni italiane e tunisine rimane invariata: uno scambio delle impronte digitali dei loro figli, per sapere se siano arrivati in Italia.
E’ da circa un anno, ormai, che le famiglie chiedono di conoscere qualcosa sulla sorte dei loto figli, partiti verso l’Europa subito dopo la rivoluzione, e da tre mesi che si rivolgono a entrambi i paesi per chiedere lo scambio delle impronte, unico modo per sapere se siano arrivati in Italia e se siano all’interno di un sistema detentivo previsto dalle politiche di governo delle migrazioni dell’Italia e dell’Unione Europea. Lanciano appelli, scrivono lettere ai ministri, chiedono incontri, organizzano sit-in e portano ovunque le fotografie dei loro figli; ma mentre anche in Italia si sta rompendo in parte il silenzio stampa su questa vicenda, i tempi delle diplomazie continuano a reagire con le loro lentezze e le loro indifferenze.
Come collettivo di donne italiane e tunisine che sostengono l’appello delle famiglie con la campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” chiediamo a tutti e tutte di far sentire la propria solidarietà e di partecipare alle mobilitazioni, ribadendo con forza che nessuno possa più scomparire così, in mare come nei Cie.

Segui gli avvenimenti sul blog https://leventicinqueundici.noblogs.org/

Le venticinque undici
Associazione Pontes dei Tunisini in Italia

Per contatti: venticinquenovembre@gmail.com
Casa dei diritti sociali 06 4464613-4464742

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In merito alla manifestazione del 19 Febbraio – Dichiarazione di Dachan Mohamed Nour, membro del Consiglio Nazionale Siriano in Italia: “La manifestazione di Roma del 19 febbraio ha un unico scopo: fermare le violenze del regime e salvare le vite umane della popolazione inerme”.

La manifestazione di Roma del 19 febbraio ha un unico scopo: fermare le violenze del regime e salvare le vite umane della popolazione inerme. Non c’è assolutamente nessuna richiesta di interventi militari, né di bombardamenti, né di soluzioni come quelle adottate in Iraq o in Libia. Per questo rimaniamo perplessi davanti a tanti amici che ancora legano questa manifestazione all’idea di bombardamenti o interventi armati. Non sappiamo dove trovino i loro riferimenti per fare queste affermazioni. Ancora una volta invitiamo tutti e, chiunque abbia qualche dubbio, se davvero vuole la pace, a manifestare con noi, perché i nostri scopi sono sempre quelli e la nostra preoccupazione è che, se gli amici ci abbandonano in questa fase, sarà allontanata sempre di più la soluzione pacifica. Ancora stasera, all’ONU, si chiede solo la protezione dei civili e l’apertura di corridoi per favorire l’ingresso degli aiuti umanitari. Dunque, qual è il problema?
16 febbraio 2012
Dott. Dachan Mohamed Nour Membro del Consiglio Nazionale Siriano – Italia

Approfondimento: http://www.perlapace.it/

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COSA SUCCEDE IN SIRIA?

La Siria potrebbe non essere la nuova Libia nel senso di una risoluzione Onu che autorizzi «bombardamenti umanitari» ma è una nuova Libia nel senso degli stretti legami fra i «ribelli» e l’hardcore jihadista-salafita.
PEPE ESCOBAR

Roma, 16 febbraio 2012, Nena News (nella foto il leader jihadista Abu Musab al Suri) – Un kalashnikov fino a poco fa si vendeva in Iraq a 100 dollari. Ora sta almeno a 1000 e forse già a 1500. Destinazione del kalashnikov da 1500 dollari nel 2012: Siria e il network di al Qaeda nella Terra dei due fiumi, noto anche come AQI; destinatari jihadisti infiltrati che operano spalla a spalla con l’Esercito siriano libero (Esl). Anche le auto-bomba e i kamikaze fanno la spola fra Siria e Iraq, come nel caso dei recenti attentati nei sobborghi di Damasco e nell’attacco suicida di venerdì scorso ad Aleppo.
Chi potrebbe pensare che quel che la casa regnante dei Saud vuole per la Siria – un regime islamista – sia esattamente quel che vuole al Qaeda? Ayman al Zawahiri, il numero uno di al-Qaeda, in un video di 8 minuti intitolato «Avanti, leoni della Siria» ha appena lanciato un appello per sostenere i musulmani in Iraq, Giordania, Libano e Turchia e per abbattere «il pernicioso e canceroso» regime di Bashar al-Assad. La risposta stava arrivando già prima che al Zawahiri comparisse in video, specie dai «freedom fighters» libici che prima erano conosciuti come «gli insorti».
Chi potrebbe pensare che la NatoCcg (il trattato del Nord Atlantico e il Consiglio di cooperazione del Golfo) vuole per la Siria esattamente quello che vuole al-Qaeda?
Così, quando il regime di Assad, con tutta la sua orrenda offensiva militare che prende essenzialmente di mira i civili intrappolati fra due fuochi, sostiene di star combattendo «i terroristi», a rigore non sta distorcendo la verità. Perfino quell’entità ubiqua e proverbiale che è l’anonimo «funzionario Usa», ha attribuito la responsabilità per i più recenti attentati all’AQI. Idem il viceministro degli interni iracheno Adnan al-Assadi: «Abbiamo informazioni dall’intelligence che un bel numero di jihadisti sono andati in Siria».
Così, se la Siria potrebbe non essere la nuova Libia nel senso di una risoluzione Onu che autorizzi i «bombardamenti umanitari» della Nato – dopo il veto di Russia e Cina -, la Siria è una nuova Libia nel senso degli stretti legami fra i «ribelli» e l’hardcore jihadista-salafita.
L’occidente cerca una situazione senza se e senza ma, non importa come prefabbricata, capace magari di offrire al Pentagono il casus belli per intervenire, ad esempio per liberare la Siria da un’al-Qaeda che in quel paese non ha mai avuto un peso.
L’anno scorso, Asia Times online scrisse che la «Libia liberata» – «liberata» dai cosiddetti «ribelli della Nato» – sarebbe sprofondata nell’inferno delle milizie. Ciò è esattamente quello che sta capitando: almeno 250 milizie diverse solo a Misurata, secondo Human Rights Watch, che agiscono come poliziotti, giudici e sterminatori allo stesso tempo. Se uno entra in carcere, è morto, e se è un africano sub-sahariano. ha anche il surplus di un set di tortura completa prima di fare la stessa fine.
Come in Libia, la strategia dell’asse sunnita Saud-Qatar, ha frustrato qualsiasi possibilità di dialogo fra l’insurrezione (armata) e il regime di Assad. L’obiettivo-chiave è il «regime change». Questa è la rozza propaganda dei media arabi in larga misura controllati o da sauditi o dai qatarioti.
Un esempio. L’elogiato «Osservatorio siriano sui diritti umani», con base a Londra, che rovescia numeri senza fine e senza prove dei «massacri» governativi, riceve i suoi fondi da un ente del Dubai finanziato da opachi donatori occidentali e del Ccg.
Intanto l’«opposizione non stop» manovra completamente la copertura dei media occidentali (Cnn, Bbc…), mentre i media arabi, sotto controllo saudita e qatariota, tacciono sulle connessioni con al-Qaeda.
La Lega delle petro-monarchie, la vecchia Lega araba di prima, dopo aver dinamitato il suo stesso rapporto di monitoraggio sulla Siria in quanto non combaciava con la narrazione prefabbricata di un regime «crudele» che bombardava il suo popolo, sta ora valutando un presunto piano B: una missione peace-keeping Lega araba/Onu che supervisioni «l’esecuzione di un cessate il fuoco».
Ma non prendiamoci in giro: l’agenda resta il «regime change». L’ha ribadito anche il comandante in capo Barack Obama. I suoi tirapiedi del Golfo saranno felici di prestarsi. Bisogna attendersi un’inflazione di kalashnikov che passano i confini, più kamikaze, più civili presi fra due fuochi, e la lenta, tragica frammentazione della Siria.

Nena News

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La delegazione delle famiglie dei migranti tunisini dispersi, in Italia ormai da 15 giorni, arriverà a Roma venerdì.

Venerdi 17 ore 14 presidio davanti all’ambasciata tunisina in Via Asmara 7 e incontro con l’Ambasciatore.
Sabato mattina CIE di Ponte Galeria e conferenza stampa.
Continua in Italia e in Tunisia la mobilitazione delle mamme e delle famiglie dei migranti tunisini dispersi. La loro richiesta alle istituzioni italiane e tunisine rimane invariata: uno scambio delle impronte digitali dei loro figli, per sapere se siano arrivati in Italia.
E’ da circa un anno, ormai, che le famiglie chiedono di conoscere qualcosa sulla sorte dei loto figli, partiti verso l’Europa subito dopo la rivoluzione, e da tre mesi che si rivolgono a entrambi i paesi per chiedere lo scambio delle impronte, unico modo per sapere se siano arrivati in Italia e se siano all’interno di un sistema detentivo previsto dalle politiche di governo delle migrazioni dell’Italia e dell’Unione Europea. Ognuno frappone ostacoli burocratici e non può non venire il dubbio che dietro ci sia una trattativa più ampia tra italia e tunisia nel dopo ben ali.

Dall’Africa e dall’Europa ci sono donne e uomini che reagiscono al dolore chiedendo con forza che nessuno possa più scomparire così, in mare come nei Cie.

Come collettivo di donne italiane e tunisine che sostengono l’appello delle famiglie con la campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” chiediamo a tutti e tutte di far sentire la propria solidarietà e di partecipare alle mobiltazioni.

Fonte: http://leventicinqueundici.noblogs.org/

A S.E. l’Ambasciatore d’Italia a Tunisi Piero Benassi Ambasciata d’Italia – Sede

Tunisi, 13 febbraio 2012

Gentile Signor Ambasciatore,

siamo un gruppo di mamme tunisine che ormai da quasi un anno cerca di avere notizie dei propri figli, che nel marzo 2011 si sono imbarcati fortunosamente per l’Italia in cerca di una vita più dignitosa.

Da allora non abbiamo avuto più contatti con i nostri figli, nonostante, almeno per alcuni di loro, siamo sicure che siano approdati nel vostro Paese.

Abbiamo scritto ai Ministri degli Esteri e degli Interni sia in Tunisia che in Italia, chiedendo loro di collaborare per fare luce sulla sorte dei nostri figli. Abbiamo portato loro una proposta concreta e di non difficile attuazione: confrontare le impronte digitali depositate presso il Ministero degli Interni di Tunisi con quelle presenti sulle carte d’identità dei ragazzi identificati in Italia. Sono ormai mesi che manifestiamo assiduamente davanti ai Ministeri in attesa di una risposta.

Abbiamo pensato che fosse importante far conoscere la nostra azione al più vasto numero di persone possibile, ed abbiamo quindi lanciato la campagna di soldarietà “Da una sponda all’altra: vite che contano”, assieme ad alcune associazioni italiane, raccogliendo ad oggi 1.500 firme.

Dal 28 gennaio 2012 una delegazione di famigliari dei ragazzi dispersi erra per la Sicilia in cerca di tracce di passaggio dei loro figli nei vari centri di detenzione e di espulsione dell’isola. Questi famigliari sono decisi a restare in Italia per tutto il tempo a loro concesso, affrontando spese per noi ingenti e grandi disagi pur di trovare qualche notizia dei loro ragazzi, sapere se sono ancora vivi, dove si trovano, riabbracciarli se possibile.

Abbiamo deciso di rivolgerci a Lei dopo essere venute a conoscenza della prossima visita a Tunisi del Ministro italiano per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi. Ci sembra un’occasione per noi preziosa di esporgli il problema e consegnargli la lettera che trova qui acclusa.

Le saremmo pertanto davvero grate se volesse proporre al Ministro di inserire nella sua agenda un breve incontro con una delegazione del nostro gruppo.

La ringraziamo in anticipo del Suo interessamento e Le inviamo distinti saluti.

Le madri dei ragazzi dispersi

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Manifestazione nazionale per il popolo siriano

Fermiamo il massacro degli innocenti

Roma, 19 febbraio 2012
Raduno in piazzale dei Partigiani a partire delle ore 12:00
A 11 mesi dall’inizio della rivolta siriana contro il regime di Bashar Assad la conta dei martiri caduti in nome della libertà mostra numeri davvero agghiaccianti: oltre 8.000 morti, oltre 500 bambini uccisi, centinaia di donne sequestrate, stuprate, torturate e uccise, madri di famiglia e ragazzine, oltre 150.000 persone rinchiuse nelle carceri per reati di opinione.
Quello che sta accadendo a Homs, Hama, Dar’a e in tutte le altre città siriane, è un autentico massacro: i carri armati sono nelle città e bombardano i quartieri civili, i cecchini sono postati ovunque e non permettono la circolazione di medicinali, generi alimentari, e beni di prima necessità.
Il popolo siriano è sceso in piazza pacificamente per chiedere il rispetto dei diritti umani: la vita, la dignità, la libertà! Il mondo intero dovrebbe condividere questi valori e sostenere la causa, invece sembra che la morte di giovani, bambini, donne e uomini, che chiedono la fine di un regime di sanguinario non preoccupi nessuno! Si sta ripetendo un scenario già tristemente noto, quello esattamente compiuto 30 anni fa, nelle città di Hama con 30.000 vittime, per mano del padre e dello zio del dittatore attualmente al potere.
Non è stato fatto alcun processo né è stata espressa alcuna condanna né tanto meno è stata resa giustizia alle vittime innocenti
La famiglia Assad firma stragi sanguinarie da oltre 40 anni, nella totale impunità e indifferenza mondiale, anzi la Russia ora si avvale del veto per fermare ogni eventuale risoluzione e lasciare scorrere tanto altro sangue!
Dobbiamo fermare la strage degli innocenti in Siria!!!
Per dire NO al massacro del popolo siriano, scendiamo di nuovo in piazza a far sentire la nostra voce e la voce di un intero popolo che chiede libertà, dignità, e diritto alla vita.

Per info e adesioni: libertasiria@yahoo.it, 3490667464

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Vento di primavera, dalla Tunisia allo Yemen.

Questa mattina nella sala rossa di palazzo di città il sindaco Piero Fassino ha conferito la cittadinanza onoraria al premio nobel per la pace Tawakkul Karman, giovane donna yemenita attivista per i diritti umani.

Tawakkul, 33 anni compiuti ieri, madre di 3 bambini, è stata una delle prime e poche donne a scendere in piazza contro il dittatore yemenita Saleh, subendo il carcere e continuando a ricevere gravi minacce.

È passato un anno da quando sono iniziate le proteste di piazza nella capitale Sana’a, ispirate dalla rivoluzione dei gelsomini, Provocando oltre 200 morti.

Il prossimo 21 febbraio dovrebbero tenersi in Yemen le prime libere elezioni , ma le associazioni internazionali nutrono gravi dubbi su un corretto loro svolgimento.

Eppure Tawakkul si sente cittadina del mondo: “grazie al web, ha dichiarato, mi sono sentita da subito parte del movimento della primavera araba, e ora non distinguo più tra noi e voi, ma mi impegno a lavorare per la comprensione reciproca tra paesi e culture.”

Oggi Tawakkul si aggiunge ai cittadini onorari di Torino impegnati per la pace e la giustizia e ai 40.000 concittadini di cultura araba della città.

“Ogni volta che sono sulla strada della libertà faccio incontri meravigliosi” ha dichiarato emozianata Tawakkul Karmam. A testimoniare il valore dell’impegno delle donne a garanzia della democrazia, la via nonviolenta per la pace, e l’abbraccio tra le culture,

Sara di Libera ha regalato a Tawakkul il miele di cascina caccia dalle terre confiscate alle mafie.

Da questo semplice gesto, un dono fra due donne che non parlano la stessa lingua, ma che condividono il sogno di un mondo diverso, portando avanti con coraggio e pazienza la stessa lotta contro la corruzione e l’ingiustizia nei rispettivi territori, nasce questo blog per lasciar traccia dell’interesse verso l’effervescente vento della primavera araba che non ha ancora smesso di soffiare.

Dall’incontro con gli amici tunisini durante le prime libere elezioni dello scorso ottobre si susseguono iniziative di solidarietà reciproca per un Mediterraneo unito, libero e democratico. Il viaggio è appena cominciato…

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