Quando ai giovani?

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 IL DECRETO LAVORO ED IL FUTURO DEI GIOVANI

 

Quando arriva il nostro turno?

Si parla di continuo di giovani e lavoro e di come favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, ma ci si dimentica di chiedersi: quali giovani? Quale lavoro?

Una riforma che possa davvero dirsi efficace, dovrebbe occuparsi di tutti i giovani, ed in particolare di quelli competenti e professionalizzati, dovrebbe favorire l’istruzione di secondo e di terzo livello per poi inserire ragazzi preparati, laureati e competitivi nel mondo del lavoro. Dovrebbe pensare a quei giovani (quelli nati dopo il 1980) che secondo le statistiche sono i più preparati nella storia ma che non trovano un posto adeguato alle loro competenze. E dovrebbe creare lavoro di qualità, lavoro stabile che garantisca un reddito dignitoso ed una crescita professionale appagante.

Forse se il Ministro Fornero lo avesse saputo, il Governo Monti non avrebbe approvato una Riforma definita epocale dai suoi stessi firmatari che si è, però, rivelata inadatta ed insufficiente a solo un anno di distanza, costringendo il nuovo Governo a porre tra le sue priorità la revisione della L. 92/2012.

Così si è arrivati all’approvazione del DL 76/2013, c.d. Decreto Lavoro, che secondo il Presidente Letta porterà alla creazione di 200.000 posti di lavoro, faciliterà l’occupazione giovanile ed incentiverà le assunzioni a tempo indeterminato.

 

Quali sono gli interventi previsti? Ma, soprattutto, sarà all’altezza degli obiettivi promessi?

Non c’è più tempo per provvedimenti inadeguati che si rivelino mere dichiarazioni di principio e nulla di più, ora più che mai è necessario intervenire con riforme concrete, coerenti e lungimiranti che partano da un’osservazione oggettiva delle problematiche del nostro mercato del lavoro per trovare nuove soluzioni e nuove vie, perché le strade intraprese negli ultimi decenni hanno chiaramente contribuito ad aumentare disoccupazione e precariato piuttosto che puntare al lavoro stabile e di qualità.

Due sono gli interventi più rilevanti, e significativi per comprendere la strada scelta del decreto: gli incentivi all’occupazione giovanile e la revisione dei contratti a termine.

Il Governo sceglie di incentivare l’assunzione di giovani sotto i 29 anni che devono avere la terza media, oppure vivere soli con una persona a carico, oppure essere disoccupati da più di sei mesi; il datore di lavoro che assumerà questi soggetti a tempo indeterminato avrà un rimborso di un terzo della retribuzione per 12/18 mesi. È davvero possibile pensare che questo incentivo porterà alla creazione di 200 mila posti di lavoro?

Le condizioni in cui devono rientrare i giovani per essere assunti con questo contratto sembrano una presa in giro ed escludono la maggioranza dei ragazzi preparati e competenti con un alto livello d’istruzione, portando ad incentivare l’abbandono scolastico piuttosto che puntare sulla qualità.

Quando ci si occuperà di tutti quei giovani con un alto livello d’istruzione, mantenuti dai genitori mentre svolgono pratiche, master, stage, tirocini non pagati?

Quando arriva il loro turno? Perché per un paese che vuole crescere, l’unica vera soluzione sul lungo periodo è investire in conoscenza incentivando i giovani a rimanere il più a lungo

possibile nei sistemi di istruzione migliorando al massimo le proprie competenze. Le politiche d’istruzione e formazione rimangono la base per qualsiasi politica economica che possa essere in grado di portare ad una crescita e la lotta contro la disoccupazione deve essere necessariamente legata ad un miglioramento delle competenze della forza lavoro.

Non dimentichiamo, poi, che è irreale pensare di convincere i datori di lavoro ad assumere a tempo indeterminato giovani evidentemente in difficoltà, con un incentivo di breve durata. In Italia esistono più di 40 forme contrattuali che permettono ai datori di lavoro di assumere a basso costo e basso rischio ed a tempo determinato, perché mai un’azienda dovrebbe scegliere un contratto a tempo indeterminato per un blando incentivo quando può assumere a termine, con contratto di apprendistato, co.co.pro, contratti occasionali etc.?

Per quanto riguarda il contratto a termine, altra delusione. Sarebbero stati necessari degli interventi che ne limitassero l’abuso e che restituissero al lavoro a tempo indeterminato la sua centralità, ma il decreto va nella direzione opposta, legalizzando il precariato fatto di contratti a termine infiniti e acausali. Ci si dimentica, nuovamente, che per favorire l’occupazione stabile e la crescita è necessario puntare sul lavoro di qualità combattendo quella flessibilità che si è tradotta in precariato. Precariato che in Italia è nato come conseguenza dell’aumento dei contratti c.d. atipici con l’introduzione del Pacchetto Treu e della Legge Biagi che potenziavano il lavoro a termine allo scopo di favorire l’occupazione dei giovani. Se ricordiamo che la conseguenza è stata un leggero aumento dell’occupazione ma una costante decrescita della produttività e della ricchezza pro capite, è evidente che non si può ripercorrere queste strade pensando di ottenere una crescita sul lungo periodo.

Infine, il Decreto non provvede a riordinare la disciplina dell’apprendistato, che nella pratica viene utilizzato dai datori di lavoro per assumere a basso costo senza che vi sia nessuna formazione, nessuna crescita, e nessuna assunzione stabile.

Insomma, la materia è sicuramente complessa, gli interessi in gioco sono molti e le risorse poche, ma non sarebbe ora di cambiare rotta? Di dimostrare un po’ più di coraggio e senso di responsabilità affrontando la questione da un nuovo punto di vista?

Bisognerebbe pensare a veri incentivi perché le imprese in difficoltà siano messe nelle condizioni di puntare su una competitività basata sulla qualità e l’innovazione. Razionalizzare la disciplina dei contratti atipici, che sono troppi ed inadeguati. Creare un sistema di ammortizzatori sociali efficiente e sistemi di riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori che riducano i periodi di non lavoro e aumentino la professionalizzazione della forza lavoro. Iniziare a pensare ai giovani come una ricchezza, una risorsa da valorizzare, una generazione a cui restituire un futuro.

Sarebbe ora di darci una risposta: quando arriva il nostro turno?

Dott.ssa Marta Cupelli e Dott.ssa Chiara Lai