Il mercato del libero scambio


“IL MERCATO DI LIBERO SCAMBIO E LO SPAZIO PUBBLICO. UNO SGUARDO POLITICO” o meglio “LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DAL CUORE”

Avevamo già appoggiato la petizione “Il Balon di tutti e per tutti”. Oggi, grazie all’approfondimento di Mauro Beano facciamo un po’ di chiarezza sulla necessità di non spostare l’area di libero scambio dello storico mercato.

Cos’è il mercato di libero scambio?

Si definisce mercato di libero scambio l’attività di vendita di oggetti usati svolta da parte di operatori non professionali. Tale attività, nel linguaggio comune, prende spesso il nome di “suq” o, più comunemente, “suk” in riferimento al tipico mercato arabo al quale è spesso associato.

Nella città di Torino questo commercio è molto famoso, in quanto è da anni identificato nel “Balon”, lo storico mercato delle pulci del capoluogo piemontese, situato nel Borgo Dora del quartiere di Aurora, tra il fiume Dora, corso Giulio Cesare e il mercato di Porta Palazzo.

All’interno di questo antico “mercato dei cenci” convivono da sempre commercianti, antiquari, rigattieri e operatori non professionali. In mezzo a loro clienti di tutte le età e le etnie si recano alla ricerca di oggetti usati a basso prezzo, per passione o per necessità.

Negli ultimi 18 anni il Comune di Torino si è occupato dei venditori non professionali, al fine di normarne la situazione e di valutarne l’impatto nello spazio pubblico circostante. Ma per tutti gli attori politici in campo, il suk ha rappresentato una sfida molto complicata.

Cronaca delle trasformazioni del mercato di libero scambio a Torino

Il quadro legislativo nazionale:

Fin dal 1931, la legge di riferimento per normare l’attività degli operatori non professionali era il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS). Esso regolamentava al Capo V del Titolo III le attività “dei mestieri girovaghi e di alcune classi di rivenditori”; in particolare l’articolo 121 prevedeva che i mestieri, tra gli altri, di venditore ambulante di merci e cenciaiolo fossero soggetti a un’autorizzazione rilasciata dall’autorità di pubblica sicurezza.

Per decenni, quindi, le attività di libero scambio sono state svolte da persone alle quali veniva richiesta una semplice autorizzazione della Questura: lo stesso Balon nasce seguendo queste regole.

L’introduzione della cosiddetta “Legge Bersani”, però, crea una vera e propria rivoluzione in materia: riforma la disciplina del commercio, introducendo la necessità, per esercitare la vendita in area pubblica, del rilascio di un’autorizzazione da parte del comune di residenza (art. 28), a cui si aggiunge, nel 2001, la definitiva abrogazione di alcuni articoli del TULPS tra cui lo stesso 121.

Questo cambiamento nel quadro legislativo produce nel capoluogo piemontese conseguenze molto rilevanti: da un momento all’altro i venditori del Balon hanno l’obbligo di ottenere una licenza più complessa e più costosa del passato, spesso senza poterne sostenere le spese o semplicemente senza avere le capacità di farlo. Le scelte politiche del Comune di Torino nei primi anni 2000 sono una diretta conseguenza di questa situazione.

Come agisce il Comune di Torino?

Il repentino cambio del quadro normativo nazionale in materia di commercio in area pubblica produce, a cavallo del nuovo millennio, una difficile situazione da gestire per Torino e i suoi amministratori. Essi si trovano davanti a una potenziale crisi, che minaccia di scoppiare causando danni irreparabili al tessuto sociale della città.

Per comprendere la situazione è bene riprendere le parole di Ilda Curti, direttrice del progetto di riqualificazione di Porta Palazzo “The Gate” e dal 2006 al 2016 assessora del Comune di Torino alla rigenerazione urbana, scritte in tempi recenti sul suo blog:

Le strade che poteva prendere l’Amministrazione, allora, erano due:

  • Militarizzare il Balon, spianare i 121isti diventati abusivi in forza di legge, giocare a guardie e ladri tutti i venerdì notte, ignorare il fatto che la stragrande maggioranza di loro avevano redditi e situazioni sociali estremamente precarie
  • Inventarsi delle procedure amministrative che formalizzassero la loro esistenza, che dessero dignità al loro lavoro, che permettessero di controllare gli abusi e di regolarizzare le attività di vendita, che facessero pagare l’occupazione di suolo pubblico e TARI (perché essere contribuenti significa essere riconosciuti dalle istituzioni e contribuire alla collettività). Questo, anche in considerazione della fragilità sociale dei venditori (circa l’80% di loro – italiani e stranieri – sono in carico ai Servizi Sociali, vivono al di sotto della soglia povertà).

In questo scenario l’amministrazione di centro-sinistra sceglie la seconda strada, avviando un’azione di empowerment rivolta ai venditori del Balon che operavano nel mercato senza un’autorizzazione alla vendita su suolo pubblico, in collaborazione con l’Unità di Accompagnamento Sociale dello stesso progetto The Gate. Una presa di posizione tanto necessaria quanto forte, con la quale il comune manifesta la volontà di mantenere, in quella zona, la stessa fruibilità dello spazio pubblico che era presente prima dell’introduzione della Legge Bersani.

Il lavoro sul campo di questa unità riesce a coinvolgere un gruppo di operatori del Balon, i quali nel 2002 fondano l’associazione ViviBalon: un passo che si rivelerà fondamentale per l’interlocuzione tra i venditori e l’Amministrazione. Tra il 2002 e il 2003 il Comune e l’associazione muovono i primi passi in direzione di una nuova regolamentazione del libero scambio a Torino: si realizza un censimento dei venditori che operavano con l’ex-permesso 121 e si dà il via alla riorganizzazione dell’area sotto la gestione di ViviBalon. Proprio nel 2003 la Giunta Comunale conferma con una delibera la vocazione dell’area del Balon come sede naturale per la vendita di beni usati da parte di operatori non professionali, e stabilisce una prima sperimentazione del nuovo modello organizzativo del mercato. In questa fase ha luogo anche una più precisa localizzazione delle attività di libero scambio, in quanto viene identificato, all’interno della più ampia area del Balon, lo spazio di Canale dei Molassi come quello ad esse dedicato.

Il Comune di Torino si dimostra quindi ricettivo nei confronti delle esigenze dei venditori del Balon e dà il via a un processo partecipato attraverso il quale definire un regolamento comunale per le aree di libero scambio. È il 20 febbraio 2006 quando il Consiglio Comunale approva il nuovo “Regolamento per la gestione dell’attività di vendita e scambio non professionale di cose usate nell’area del Canale dei Molassi” (n° 316). La delibera di quest’ultimo fa esplicito riferimento al mantenimento della tradizione del Balon e alla necessità di dare a persone in condizioni economiche precarie la possibilità di avere reddito dalla vendita dell’usato; dall’altra parte, però, sottolinea, su richiesta delle Circoscrizioni, l’attenzione all’ordine pubblico introducendo la presenza del Corpo di Polizia Municipale e un canone di pagamento per coprire le tasse.

A far vacillare l’equilibrio raggiunto è, negli anni successivi, il progressivo aumento degli operatori del mercato di libero scambio, che determina un diffuso abusivismo nell’area di San Pietro in Vincoli, adiacente al Canale Molassi, e conseguenti lamentele dei residenti. Con la delibera della Giunta Comunale del 4 agosto 2009 inizia quindi il percorso di ampliamento e spostamento delle aree di libero scambio a Torino che è tuttora in atto.

Si dà il via ai primi cambiamenti: nel 2009 la competenza di ViviBalon viene estesa all’area dell’ex cimitero di San Pietro in Vincoli e all’omonima via, adiacente al Canale Molassi; successivamente, nel 2010, il Comune delibera un ulteriore ampliamento che coinvolge Canale Carpanini e il quadrante sud-est di Piazza della Repubblica, destinando quest’ultimo al mercato di libero scambio della domenica.

Ma adattarsi a una situazione le cui dimensioni crescono così velocemente è complesso. Se le cause di questo incremento possono essere principalmente identificate nella crisi economica che ha spinto sempre più persone a fare reddito vendendo oggetti usati, le sue possibili conseguenze rischiano di minare i traguardi raggiunti dell’amministrazione. La più rilevante tra esse è la crescente percezione negativa delle aree di libero scambio che molti dei residenti delle zone circostanti hanno: si moltiplicano le voci di protesta verso il degrado e la diffusa illegalità da esse portati e si diffonde progressivamente l’utilizzo del termine “suk” per riferirsi, in modo spregiativo, a questa realtà.

Sono proprio queste problematiche che spingono la Giunta di centro-sinistra guidata da Piero Fassino a decidere, nel 2014, di dare alle attività di vendita di oggetti usati una nuova, temporanea, collocazione. Si individua l’ex-scalo Vanchiglia, stazione di scalo merci nella zona nord di Torino in disuso dal 1996, come destinazione per le attività domenicali; questo spazio, gestito privatamente dalla Società Immobiliare Regio Parco srl, viene dato in comodato gratuito alla Città fino a gennaio 2015, garantendo così una sperimentazione del libero scambio in un luogo distante dalla sua collocazione originaria del Balon. L’attività del sabato, al contrario, viene confermata nella zona di Canale Molassi, pur immaginando di spostare in futuro anch’essa lontano dai vicoli in cui è nata, qualora si individuasse un’area idonea ad ospitare il tutto permanentemente.

In mancanza di un luogo che risponda a queste esigenze, si individuano, al contrario, ulteriori zone temporanee per le attività domenicali: a quest’ultima categoria appartiene lo spazio di Via Monteverdi, fino a quel momento adibito a parcheggio, in cui i venditori si insediano a partire dal 25 ottobre 2015, vista la definitiva scadenza della concessione dell’ex-scalo Vanchiglia nel settembre 2015.

Prima dell’apertura di quest’area gli operatori del libero scambio manifestano pubblicamente il loro dissenso per gli spostamenti, occupando abusivamente, il 4 ottobre, lo spazio di Corso Novara antistante l’ex-scalo Vanchiglia e continuando la vendita della domenica anche senza autorizzazione da parte del Comune. Viene a galla un primo elemento di rottura tra la strategia comunale e le esigenze dei venditori.

Nell’aprile 2016, a circa un mese dalla scadenza del suo mandato, la Giunta guidata da Piero Fassino proroga la sperimentazione in Via Monteverdi fino ad ottobre dello stesso anno. Questo è l’ultimo atto riguardante il libero scambio da parte di Piero Fassino e della sua assessora Ilda Curti: il 20 giugno 2016 il ballottaggio per l’elezione del Sindaco di Torino decreta la vittoria del Movimento 5 Stelle.

Dopo 15 anni di gestione del centro-sinistra, chi si aspettava un deciso cambio di rotta sul suk sarà di certo rimasto deluso. La prima delibera di Giunta firmata dalla Sindaca Chiara Appendino e dagli assessori Giusta, Rolando e Sacco su questo tema recita:

L’attuale Amministrazione ha inizialmente valutato la possibilità di non proseguire l’esperienza condotta negli anni passati. Ma le più recenti riflessioni e i confronti anche all’interno del Comitato per la Sicurezza hanno evidenziato il forte rischio che il fenomeno si ripresenti in forma spontanea e non controllata, creando così, non solo un ancor più forte disagio alla popolazione, ma evidenti rischi per la sicurezza pubblica.

Un passaggio che si pone in continuità con le azioni della giunta precedente.

All’interno dello stesso atto compare poi la prima proposta progettuale sul mercato di libero scambio avanzata dal Movimento 5 Stelle:

Il quadro può essere modificato partendo dall’idea che il tema può essere trattato in un’ottica diversa, inserendo l’azione della Pubblica Amministrazione in un contesto di politiche più ampio, legato al contrasto della povertà urbana.

[…]

In questa ipotesi si può pensare ad una rotazione in molteplici aree, anche tra quelle precedentemente individuate. A tale rotazione potrebbe essere associato un meccanismo di indennizzo per quelle Circoscrizioni che ospitano le aree di libero scambio.

Nasce quindi l’idea di creare un “suk itinerante” che ruoti tra più aree della città. Un’ipotesi che sostanzialmente formalizza le azioni degli anni precedenti: la collocazione delle aree di libero scambio per quanto riguarda la giornata di domenica è a suo modo temporanea già dal 2010.

Col percorso intrapreso dalla giunta a 5 Stelle, si giunge all’ultima destinazione designata, anch’essa temporanea, per il mercato di libero scambio: l’area di proprietà comunale compresa tra le vie Varano, Carcano, Ravina, Nievo e Poliziano. In quest’area, situata dietro al Cimitero Monumentale, in Circoscrizione 7, si insedia il 23 aprile 2017 la diramazione domenicale del nuovo suk immaginato da Chiara Appendino e dall’assessore con delega a decentramento e periferie Marco Giusta.

“Barattolo”: questo è il nome scelto dalla Giunta per la vendita occasionale e lo scambio di cose usate normata dal nuovo regolamento approvato il 29 maggio 2017 (n°378). All’interno di quest’ultimo si è deciso di inserire regole più chiare e stringenti su chi può partecipare, su cosa può essere venduto e sulle modalità di partecipazione.

A seguito di queste modifiche, però, le proteste dei movimenti no-suk e delle fazioni politiche di opposizione non si sono placate, anche a causa del terribile avvenimento di domenica 15 ottobre 2017, quando Maurizio Gugliotta, uno degli operatori non professionali, è stato accoltellato e ucciso durante lo svolgimento del mercato in Via Carcano. Questa vicenda criminosa, seppur indipendente dalla nuova regolamentazione, ha contribuito ad accrescere le tensioni e la diffusa sensazione di mancanza di sicurezza dei residenti della zona, mettendo le basi per una nuova potenziale crisi urbana. Il Barattolo, sospeso per lutto per due settimane, è regolarmente ripreso il weekend del 4 novembre 2017 senza variazioni degne di nota.

È infine notizia di queste settimane l’ultimo aggiornamento riguardante il libero scambio torinese: con deliberazione di giunta del 27 dicembre 2018, il Comune ha scelto di spostare anche le attività del sabato in via Carcano. A partire dal 19 gennaio 2019, quindi, il mercato di libero scambio in Canale Molassi e dintorni è ufficialmente cessato. Ufficialmente, ma non ufficiosamente, vista la strenua resistenza messa in atto dai venditori, che continuano a rivendicare il loro posto nel Balon tanto da svolgere regolarmente il mercato di sabato 19 gennaio. E di seguito, anche i sabati successivi hanno visto una grande affluenza nella tradizionale locazione del suk, snobbando invece il luogo ufficiale, via Carcano, completamente disertato dai venditori.

Le proteste di chi vive da anni il mercato e ha deciso di occuparlo anche di notte in queste settimane (qui un breve racconto delle notti a Canale Molassi), hanno radici fondate: non solo lo spostamento andrebbe a sradicare il libero scambio dallo storico luogo in cui è nato e cresciuto, ma lo rinchiuderebbe in un’area, quella dietro il cimitero monumentale, lontana dagli occhi di tutti, soprattutto da quelli dei potenziali clienti.

C’è poi un tema politico: venditori, parte degli abitanti del quartiere e molti attivisti metropolitani sono concordi nel contestare la politica del “nascondere la polvere sotto il tappeto”, a tratti esplicitamente rivendicata dalla giunta. Lo spazio stesso di via Carcano è stato scelto proprio per il suo isolamento. Il tempismo con cui tutto questo si inserisce nell’annunciata riqualificazione del mercato di Porta Palazzo, infine, è quantomeno sospetto.

Intanto è nata la petizione “Il Balon di tutti e per tutti” proposta dalla consigliera comunare di Sinistra in Comune Eleonora Artesio e sostenuta, tra gli altri, proprio da Ilda Curti, l’ideatrice di questo modello. Non resta quindi che seguire con attenzione le mosse che il Comune e i venditori metteranno in atto, sempre convinti che gli ultimi e i penultimi abbiano pari dignità e diritti di tutti i più fortunati abitanti dello spazio urbano.