Codice Etico

Mattiello

 

Si chiama Codice etico. A scriverlo, e poi votarlo (all’unanimità), è stata la Commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Rosy Bindi. Il suo obiettivo è impegnare partiti e movimenti politici a non candidare soggetti coinvolti in reati di criminalità organizzata contro la pubblica amministrazione, di estorsione ed usura, di traffico di stupefacenti, di traffico illecito di rifiuti.
L’occasione, per riproporlo, è la consultazione prossima che a fine ottobre vedrà elezioni comunali a Reggio Calabria, e a fine novembre le elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria, oltre a elezioni in vari comuni italiani. Una sorta di primo test. Il futuro è l’auspicio del presidente della Commissione di trasformare il Codice in un disegno di legge che vada a integrare la legge Severino, che fissa la decadenza al momento della sentenza passata in giudicato.
L’opinione l’abbiamo chiesta a Davide Mattiello, che, da deputato, fa parte della Commissione antimafia e ha contribuito a scrivere il Codice.
 
Approvato all’unanimità. Unanimità. Come è arrivata a questo risultato una Commissione parlamentare composta da onorevoli provenienti da tutti i partiti?
Sul termine unanimità è necessario fare chiarezza. Va detto che, sebbene la commissione sia composta da onorevoli e senatori di tutti i partiti, nella concretezza solo una parte di questi partecipa ai lavori della commissione. Quindi il codice etico è stato approvato all’unanimità dei presenti. Ma i presenti non erano tutti gli aventi diritto. Su 50 membri (25 senatori e 25 deputati) diciamo che le presenze navigano su una media che oscilla tra i 10 e i 20 partecipanti alle plenarie e alcuni partiti, come Forza Italia, non si sono mai visti.
In democrazia la storia la fa chi c’è. In Commissione c’è chi intende esserci e chi c’è si assume le responsabilità. Gli altri si sottraggono e prendono atto.
 
Il Codice, non essendo sanzionatorio, è un’indicazione sulle candidature che la Commissione propone ai partiti. Come reagirete se qualche partito non dovesse considerare l’indicazione?
Un passo indietro: è necessario smettere di pensare che l’unica sanzione rilevante sia quella penale. Una società che pensa una cosa simile non è democratica, vive in un regime autoritario. Intendo che nella nostra società, culturalmente democratica, l’altra sanzione rilevante deve essere la sanzione sociale. È il giudizio negativo. Espresso, dimostrato. Che in una società sana dovrebbe tradursi in scelte elettorali che giudicano, nel segreto dell’urna, le condotte che si ritengono insopportabili. Non c’è solo il “penalmente rilevante”, c’è anche l’”eticamente ripugnante”.
Per aumentare la gravità, nel codice è previsto che la Commissione possa, ex post, fare una verifica dei comportamenti tenuti dai partiti che avranno sottoscritto il Codice per stigmatizzare puntualmente e pubblicamente il comportamento di quelli che si saranno comportati in maniera incongrua. Insomma, depositario di questo compito di verifica è la Commissione stessa.
 
Un Codice simile esisteva già. Ma visti i risultati era evidentemente poco considerato. Cosa vi fa sperare che questo nuovo abbia più successo?
Innanzitutto, il meccanismo, appena descritto, della commissione sulla verifica della coerenza. Questo è un elemento innovativo e concreto e che la Commissione non perderà occasione di far valere. Per esempio, perle imminenti elezioni la commissione, dopo il voto, svolgerà un lavoro di screening sulla coerenza dei partiti. Rimanendo come detto sul piano della sanzione sociale.
Altra novità. L’articolato del Codice etico è più severo e anticipa il disvalore sociale al momento del rinvio a giudizio. Quindi, non possono essere candidati, secondo il Codice, coloro che siano stati rinviati a giudizio. Non stiamo parlando di sentenze in giudicato. Tanto basta per indurre la inopportunità politica di quella candidatura. Per chiedere al partito di non candidare colui che è rinviato a giudizio ovviamente per fatti gravi come l’organizzazione mafiosa, la corruzione e altri reati contro la pubblica amministrazione.
 
Ora il Codice esiste, è stato attualizzato. Rosy Bindi ha dichiarato il suo auspicio affinchè venga tradotto in norma di legge. Quali sono le sue aspettative e quali i prossimi passi?
Capisco l’auspicio della presidente di trasformare il codice in legge e con ciò dotarsi della forza cogente di una norma primaria con relativo pacchetto di sanzioni. E la sanzione sarebbe in questo caso amministrativa. Penso per esempio al provvedimento di decadenza, tipico della Legge Severino. Detto questo, io rivendico la cultura democratica di un paese che sappia sancire, senza attributi amministrativi o penali, giudizi politici e sociali. Insomma, mi piace ancora sognare un paese che non abbia bisogno di una legge per far prevalere la cultura democratica.
 
Sono passati alcuni anni da L10 Piemonte, esordio di una proposta sul controllo dei candidati in una campagna elettorale. Quanto rivedi nel Codice etico di quel primo punto della piattaforma politica di Libera Piemonte datata 2010?
Tantissimo. Quello del Codice è lo stesso meccanismo di L10. Io credo che Libera, e nello specifico, Libera Piemonte debba avere l’orgoglio di rivendicare di aver fatto parte di quel movimento composto da tanti soggetti che ha fatto maturare questa volontà. Il partito prende un impegno pubblico con un’organizzazione di cittadini, ma se lo disattende l’organizzazione e i cittadini che la compongono sono tenuti a mettere in piazza l’incoerenza del partito. E tanto dovrebbe bastare a dissuadere dall’essere incoerente come anche, nel caso di eccessiva sfacciataggine, a essere sanzionato dal voto dei cittadini che ti faranno perdere le elezioni.
Tutto sommato, ripensando alla storia di questi ultimi quattro anni e mezzo, dalla campagna elettorale per le regionali piemontesi di Bresso contro Cota, credo che Libera Piemonte possa essere orgogliosa per i nodi che il percorso fatto ha portato al pettine e delle conseguenze politiche cui si è arrivati.