Egitto: la rivoluzione?

Di Federica Di Lascio – Tra sabato e domenica scorsi, in Egitto si sono svolti i ballottaggi delle elezioni presidenziali. Dopo l’uscita di scena del candidato di sinistra Hamdeen Sabahi (attivista, parlamentare ed oppositore del regime), si sono sfidati Shafiq, già primo ministro sotto il regime Mubarak, e Mursi, legato al movimento integralista dei Fratelli Musulmani. Si parla già da sabato della vittoria di quest’ultimo, ma i conteggi sono ancora in corso. Giovedì conosceremo, brogli elettorali permettendo, i risultati ufficiali. Buona parte degli attivisti ha promosso una campagna di boicottaggio del voto, in segno di protesta e rifiuto di entrambi i candidati, simbolo da un lato di ritorno al passato e di consolidamento dello stato militare, dell’altro di prospettive teocratiche. Molti altri, pur turandosi il naso, hanno votato, chi Mursi chi Shafik. Inoltre, la situazione appare confusa per diversi motivi: lagiunta militare sta cercando di consolidare e rafforzare, nella stesura della bozza costituzionale, i propri poteri; il Parlamento è stato sciolto una settimana fa, in quanto la Corte Suprema avrebbe rilevato l’illegittimità di un terzo degli eletti (la quota maggioritaria, assegnata per legge a candidati indipendenti, di fatto occupata dai Fratelli Musulmani), dunque presto si farà ricorso a nuove elezioni politiche; l’ex dittatore Mubarak è clinicamente deceduto (vi sono pareri discordanti, quel che è certo è che manca poco); vi è una sorta di delegittimazione reciproca tra poteri dello stato, rafforzata dal vuoto costituzionale.

Al Cairo, nonostante i subbugli, la vita scorre tranquilla. O meglio, rumorosa come sempre: la città brulica di gente, auto e clacson, 24 ore su 24. Un gruppo di europei, giunti nella capitale egiziana grazie ad un progetto del Goethe Institut (Cultural Innovators Network, che toccherà anche Torino), incontra alcuni attivisti locali. Questi raccontano di un mondo di artisti, intellettuali, volontari e giovani emerso all’indomani della rivoluzione del 25 gennaio scorso, in un processo irreversibile ma non semplice da gestire. La vita delle ONG qui non è facile: si fatica a reperire fondi, e vi sono molte restrizioni legislative. “Le competenze messe in campo sono tante, ma la sfida resta la sostenibilità nel lungo periodo, e la gestione costante e coordinata di tanti volontari”, afferma un attivista di Egyptian Youth Federation. Tra i progetti, spiccano Freedom Bus e Make up your mind, campagne informative – fatte di video, giochi, simpatiche brochures – di giovani verso la popolazione di tutto il Paese, volte a far conoscere i principi basilari del buon cittadino: cos’è (o dovrebbe essere) la Costituzione, il rispetto delle minoranze, il voto consapevole. L’impressione è che – come spesso accade – ci sia un fermento che poco si riflette nelle dinamiche istituzionali e politiche. Un fermento un anno e mezzo fa inesistente, esploso improvvisamente, che ha attirato in patria tanti giovani emigrati. La speranza è che questa fiamma non si spenga. Lo scollamento tra politica e società civile non si ridurrà in breve tempo, “bisogna pazientare e preparare i cittadini”, sostiene Viola di Mayadin al-Tahrir/Masrena.