Droga e Costituzione

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Abbiamo intervistato Giulia Ometto, autrice di un bell’articolo sulla droga intitolato ‘Stupefacenti e repressione penale: un banco di prova per la tenuta dei principi costituzionali’ (Potete leggerlo CLICCANDO QUI)

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Nel suo articolo lei fa un accostamento interessante tra droga, giustizia penale e Costituzione, citando il principio di offensività del reato rispetto ai beni giuridici. Può approfondire questo concetto?

Il principio di offensività del reato è un principio di “recente” elaborazione, che si contrappone al principio del reato come mera violazione del dovere. Secondo quest’ultimo, che sottende una concezione del diritto penale a sfondo soggettivo o preventivo, tipico dei sistemi totalitari, non è necessario, perchè si configuri un reato, che il comportamento provochi una lesione ad un bene giuridico, essendo sufficiente che il comportamento si concretizzi in una disubbidienza, in una infedeltà alle norme statali. Evidentemente, con l’entrata in vigore della Costituzione una concezione di questo genere non poteva sopravvivere: da qui il principio di offensività, per cui oggi è (perlomeno nella teoria) necessario che il comportamento di chi viene incriminato abbia concretato un’offesa ad un bene giuridico, o l’abbia almeno messo in pericolo: questa regola dovrebbe valere sia per i giudici, che per il legislatore. A mio parere, si tratta di un principio fondamentale poichè protegge i cittadini dal rischio di essere condannati per il solo fatto che il loro comportamento, pur se “innocuo”, non corrisponde a quello ritenuto “corretto” da parte dello Stato. Le leggi in materia di stupefacenti, però, sebbene dichiarino di voler proteggere la salute degli assuntori delle sostanze, in realtà, sorpassando peraltro la volontà degli assuntori stessi (e qui si potrebbe aprire un’ampia parentesi sulla libertà di autodeterminazione…), sembrano piuttosto imporre un modello comportamentale: l’impressione è che lo Stato non voglia vedere per le strade i tossicodipendenti o gli assuntori di droga, e dunque bandisca l’esistenza di queste sostanze, rinchiudendo coloro che vi hanno a che fare dentro carceri sovraffollate: è il c.d. diritto penale del nemico, che rappresenta il superamento forse più manifesto del principio di offensività.

Droghe ‘leggere’, ‘droghe pesanti’ e alcool: quale pensa sia la sostanza abbia un tasso di pericolosità sociale più elevato?

Innanzitutto: che cosa intendiamo per pericolosità sociale? Correttamente, il primo sguardo va al fatto che attorno al mondo della droga prospera il crimine organizzato. Ma anche in questo caso, lo slogan non deve ingannarci: in primo luogo, perchè noi abbiamo già delle norme che puniscono la criminalità organizzata; in secondo luogo, perchè la criminalità relativa alle droghe esiste soprattutto perchè le droghe sono illegali, così rispondendo ad una domanda proveniente dalla popolazione: diversamente, è molto probabile che una grossa fetta di quel mercato verrebbe sottratto al crimine organizzato. Il contrabbando illegale di sigarette esiste ancora, ma non è certo paragonabile al mercato della droga: eppure, molte persone fumano. Dal punto di vista, invece, della pericolosità sulla salute individuale, della quale io non mi occupo e rispetto alla quale soltanto il parere scientifico può essere ascoltato, il punto, a mio parere, non è tanto individuare LA sostanza più pericolosa (contro la quale, poi, magari, puntare il dito mediaticamente), quanto invece individuare il modo in cui affrontare queste diverse forme di pericolosità. Io penso che il diritto penale si sia rivelato fallimentare in questo senso.

Che giudizio dà della repressione delle droghe rispetto alla legalizzazione di tabacco ed alcool?

Un giudizio negativo. Perchè da vita ad un sistema incoerente, traballante agli occhi di un osservatore attento; un sistema che si rivela essere fondato non tanto sulla volontà di proteggere i cittadini dai rischi che l’abuso di TUTTE le sostanze provoca, quanto su operazioni di marketing elettorale, volte ad assecondare discutibili orientamenti culturali, che ci hanno condotto a ritenere che “bere un paio di bicchieri non faccia male a nessuno, fumare uno spinello sì”. Peraltro, un sistema incoerente come il nostro riconosce ai cittadini una libertà soltanto parziale: quella di bere alcolici all’infinito, ad esempio, ma non di assumere una dose di eroina “pulita”. Questo, ovviamente, non significa che assumere eroina sia un fatto che vada tutelato: è la libertà dell’individuo che va tutelata, a mio parere, anche quando questa si orienti in senso irragionevole, anche quando conduca a scelte non condivisibili. In relazione a queste situazioni, io penso che gli sforzi dello Stato debbano andare nel senso di agire non tanto sulla reperibilità della sostanza, quanto sulla volontà della persona di reperirla. Insomma, a mio parere è necessario agire sulla scelta degli individui, con un percorso di accompagnamento delle persone in difficoltà e di informazione di chi pensa che “si tratti soltanto di un gioco”. Riflettendo sul fatto che, pur in tanti anni di “operatività”, il proibizionismo non ha mai vista diminuita la domanda di droghe, anzi