Diario di un viaggio ad Adro

Partenza mattiniera, ma non troppo, per andare ad Adro. Tre macchine e undici persone, ma soprattutto: Benvenuti in Italia in movimento, alla prima azione pubblica.

Un paio d’ore di viaggio senza soste e giungiamo a destinazione, nel paesino del bresciano di poco più di 6000 abitanti balzato agli onori della cronaca, un po’ nebbioso ma con un centro storico medievale molto accogliente.

Il primo impatto è con un titolo de “Il Giorno” fuori dall’edicola del parcheggio: Adro non rinuncia al sole. “Faremo una scultura”.

Che bella idea.

Meglio cercare i nostri contatti Adresi, che ci aspettano.

Ilaria ha radunato alcuni genitori degli studenti della scuola elementare, ragazzi del popolo viola, persone che hanno fondato la lista civica di Adro (e che in questo periodo distribuiscono incessantemente volantini) e cittadini indignati, desiderosi prima di tutto di tracciare una linea di demarcazione tra sé e i fan del sindaco di Adro.

Ci accolgono con calore e gratitudine, perché Torino non è così lontana, ma è abbastanza distante da stupirsi della volontà di prendere la macchina e andare lì prima di tutto per ringraziare chi ad Adro vive e quotidianamente sta dicendo ‘no’.

Non deve essere facile, questo lo comprendiamo subito.

Ci raccontano di un clima inquietante, fatto di minacce velate, di atteggiamenti mafiosi, di un consenso così cieco da mal sopportare le più semplici forme di dissenso.

La scuola è stata realizzata in un solo anno di lavoro e questo viene fieramente ostentato fuori dal cancello, con una targa che ringrazia coloro che hanno contribuito.

Come si possa realizzare un appalto pubblico che rispetti tutte le procedure in così poco tempo, è un mistero.

Facciamo un giro al mercato insieme ai nostri ospiti e, a parte loro, il clima intorno a noi è gelido: sguardi fugaci dalle finestre, passanti che accelerano il passo, disinteresse generale; non ci stupisce che i nostri amici si sentano soli.

La scuola Miglio è una costruzione moderna, lineare e stagliata in mezzo al nulla. Quando arriviamo lì il capannello si è fatto più folto, ci sono alcuni ragazzi, giornalisti e altri genitori; il Preside Cadei esce quasi subito insieme alla docente rappresentante del Consiglio d’Itituto e a quel punto consegniamo loro il cesto di prodotti tipici che abbiamo portato da Torino: grissini, cioccolato, bontà d’ogni genere…che il cibo unisca ciò che la stoltezza umana a volte cerca di dividere.

Il momento è semplice, ma non per questo meno emozionante: adesso anche nel bresciano conoscono Benvenuti in Italia e sanno che  non abbiamo paura di camminare, parlare e fare.

Benvenuti in Italia è con voi!