Della solitudine di Marino

Schermata 2015-10-10 alle 14.50.57

 

 

di Paolo Pascucci

 

Roma, capitale d’Italia, una delle città considerate tra le più belle del mondo. Un luogo affascinante quanto oscuro, che ospita capolavori dell’arte mondiale come l’estasi di Santa Teresa del Bernini, ma che è anche stata il palcoscenico del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro.
Sede dei famigerati “palazzi” che ospitano gli organi di Governo, sede del Vaticano e del Papa, e come svelato dall’indagine “Mafia Capitale” anche coacervo di corruzione e criminalità.
Gli amministratori che si sono succeduti in Campidoglio durante gli ultimi 20 anni, hanno governato senza avventurarsi nella palude di illegalità che fa di Roma una delle prime città di mafia d’Italia e quindi del mondo. Il fondo è stato toccato dalla precedente amministrazione, colpevole di aver portato negli uffici capitolini le frange più violente degli ambienti criminali romani, legate all’estrema destra e al terrorismo nero.
In occasione delle elezioni comunali del 2013, si fa strada nel gigantesco trogolo della politica romana Ignazio Marino, chirurgo di fama internazionale ed ex Senatore della Repubblica.
Personaggio quanto mai anomalo non solo per le dinamiche romane, ma anche per quelle nazionali, che dopo aver trionfato alle primarie viene eletto sindaco con il 60,2 % dei voti.
Prestando fede alla sua fama, il sindaco chirurgo si è messo subito al lavoro per tentare di estirpare i tanti mali romani, dimostrandosi indifferente alle dinamiche clientelari e ai tanti compagni di partito che provavano a “suggerirgli” una linea politica diversa.
Una simile opera titanica avrebbe necessitato dell’appoggio non solo dei romani, ma di tutta l’Italia onesta.
Ma a qualche mese dal suo insediamento ecco scoppiare la ridicola quanto strumentale polemica della panda rossa. Da lì è stata una escalation di finti scoop e pettegolezzi, gossip da bar ingigantiti dai media nostrani fino all’inverosimile.
Al prof. Marino è mancato il supporto del Partito che inizialmente aveva proposto la sua candidatura, per poi abbandonarlo al tritacarne della macchina del fango.
Una solitudine che è costata cara al sindaco di Roma e che ha inevitabilmente ostacolato anche l’efficacia della sua azione di governo.
Oggi la polemica scoppia sulle spese di rappresentanza. La testimonianza di un ristoratore romano in merito ad una cena da poche centinaia di euro, tutta da dimostrare e ancora al vaglio della magistratura, è bastata a causare le dimissioni del sindaco di Roma che, in due anni, aveva speso per rappresentanza quanto il suo collega di Parma. Spese che sono servite a portare nelle casse del comune contributi privati per più di 13 milioni di € da destinare ad opere di restauro del patrimonio artistico di Roma.
Al prof. Marino il merito di aver tracciato una rotta fino ad oggi inesplorata, che Roma dovrà continuare a percorrere per dimostrare di essere all’altezza del suo ruolo di capitale.