Decreto 69

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 D.L. 69/2013 – D.L. del Fare e riforma della giustizia

 

Il 21 giugno scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il c.d. “Decreto del fare”; tra i tanti articoli proposti,la presunta riforma della giustizia civile contenuta nel Tit. III, merita un’analisi approfondita.

Per tentare di spiegare quali siano le motivazioni che hanno portato alla riforma, è necessario fare una premessa: l’Italia,in materia di Giustizia, è uno dei paesi europei più “bacchettato” tra tutte le nazioni che fanno parte dell’Unione.

Un esempio tra tutti: nel 2012, il report comparativo tra i sistemi giudiziari dei 48 paesi del Consiglio d’Europa, ha evidenziato la lentezza della giustizia italiana con un durata dei processi che supera di oltre il 70% la media degli altri paesi del Consiglio europeo.

Il d.l. del fare nasce, dunque, come una risposta ai continui richiami dell’Europa e si snoda attraverso due importanti novità: l’incremento della forza lavoro negli uffici di Giustizia e il ritorno della mediazione obbligatoria.

Il primo punto prevede non solo la nomina di quattrocento giudici ausiliari ma anche l’impiego di un numero indefinito di neolaureati in legge che, mediante la loro collaborazione come tirocinanti, dovrebbero aiutare gli Uffici giudiziari a snellire l’insostenibile mole di lavoro arretrata.

Con questa prima soluzione il Governo ha dimostrato di non aver compreso (o di non voler comprendere) le richieste poste, negli anni, da chi vive quotidianamente il mondo dei Tribunali e delle Corti. Ciò che rende lenta la giustizia non è solo il numero esiguo di giudici ma, soprattutto, l’insufficienza di personale di cancelleria e la datata (se non assente) strumentazione informatica di cui dispongono. Come si può pensare di velocizzare un sistema in cui i (pochi) cancellieri sono ancora costretti a scrivere i verbali d’udienza a penna?

Oltre a ciò, è previsto che la scelta dei giudici ausiliari da nominare possa ricadere anche su avvocati, magistrati o notai a riposo (o per meglio dire, in pensione), anche da diversi anni, fino ad un’età di 65 e 75 anni, offrendo possibilità lavorative a chi, paradossalmente, è già uscito dal mondo del lavoro ed ha abbandonato la pratica del diritto da tanti anni. Tra l’altro, creando nuovi giudici c.d. onorari che vivono in una situazione di precariato e di pagamento a cottimo. I giovani neolaureati, al contrario, avranno modo di “ambire” ad uno stage di 18 mesi presso Tribunali e Corti d’Appello, per cui si esclude esplicitamente il minimo rimborso spese.

In un’epoca dilaniata dalla crisi, è inaccettabile che si continuino a proporre sistemi basati sullo sfruttamento e la mortificazione del lavoro giovanile.

La seconda novità è la reintroduzione della mediazione obbligatoria, nel 2012 dichiarata incostituzionale dalla Consulta. La mediazione consiste in una proposta di conciliazione tra le parti, mentre l’obbligatorietà si traduce nell’impossibilità di proseguire il giudizio se non si esperisce almeno un tentativo per raggiungere un accordo bonario.

 

Sebbene per alcune materie, come i sinistri stradali (controversie inspiegabilmente escluse dalla normativa), potrebbe essere positivo imporre un tentativo di conciliazione, evitando così che gli Uffici giudiziari siano intasati da procedimenti di modestissima entità, è pur vero che in tutti gli altri casi, la mediazione si traduce solo in un ulteriore rallentamento della conclusione del giudizio, tra parti che evidentemente hanno già escluso una soluzione compromissoria.

Evidenziato tutto ciò, lo scopo non sembra essere davvero quello di snellire la giustizia e velocizzare i processi ne tantomeno di intervenire con una riforma organica della giustizia per renderla più efficiente sul lungo periodo. Dunque, la Corte di Giustizia continuerà a sanzionarci, la prescrizione rimarrà l’unica salvezza da processi eterni e la giustizia giusta…Dovrà ancora aspettare.

 

Dott.ssa Chiara Lai e Dott.ssa Marta Cupelli