Chiamparino:”Se il 17 marzo divide allora è meglio lasciar perdere”

Pubblichiamo l’intervista rilasciata a Massimo Gramellini della Stampa dal Sindaco di Torino Sergio Chiamparino a proposito della Festa del 17 marzo.

E così ha dato buca anche la Gelmini: niente festa nelle scuole il 17 marzo, casomai una lezione di storia sul Risorgimento. Che ne dice, sindaco Chiamparino?
«È il terzo o quarto ministro che si sfila. Sento puzza di bruciato. E allora, da presidente del comitato dei festeggiamenti di Italia 150, dico: non prendiamoci per i fondelli. O il governo mantiene la festa nazionale che ha proclamato per giovedì 17 marzo – con scuole, fabbriche e uffici chiusi – oppure lasciamo perdere, ridimensioniamo tutto. Perché spendere una barcata di soldi per una giornata come le altre?»

Una festa in cui si lavora è una festa di serie B?
«È una festa in tono minore, come la giornata delle foibe o della memoria. Però poi non lamentiamoci se gli italiani non mettono le bandiere ai balconi. Per far sentire l’eccezionalità di un evento non può bastare un’assemblea a scuola. La lezione di storia… Se lo immagina l’entusiasmo dei ragazzi?»

Sacconi, il ministro del Lavoro, cita Catalano di «Quelli della Notte»: meglio festeggiare e lavorare insieme.
«Figuriamoci: fatico otto ore in catena di montaggio e poi vengo a sentire te in sala mensa che mi parli del Risorgimento! Ma ti mando a…»

Signor sindaco!
«Questi ministri del Pdl mi sembrano ossessionati dal bisogno di compiacere la Lega e la Confindustria».

Secondo la signora Marcegaglia, il dì di festa ci costerebbe 4 miliardi di euro, ponte del venerdì incluso.
«Ma hanno calcolato quel che incasserebbe il turismo in quei giorni a Torino, Firenze, Roma? E poi si figuri se io, che mi sono speso pro Marchionne, non ho a cuore il nostro prodotto interno lordo. Il giorno di lavoro perso lo si può recuperare da qualche altra parte. Mi stupisce la Marcegaglia: chiede unità di intenti alla classe politica e si divide su un giorno di festa. Una contraddizione che fa spavento. Il segnale di un Paese che si disgrega. E poi si fanno i paragoni con gli Stati Uniti d’America! Ma là c’è uno spirito nazionale. Ne servirebbe un po’ anche qui».

Lo dicono anche Giorgia Meloni e La Russa.
«Capisco che la mia alleanza con gli ex missini sia inusuale. Però Marcegaglia, Sacconi e la Gelmini sottovalutano l’aspetto immateriale del 17 marzo. La festa in un giorno in cui non si è mai festeggiato è un elemento di socialità, di comunità. Anche una nazione laica ha bisogno di riti e di miti. Altrimenti la secolarizzazione uccide qualsiasi cosa».

Per ora del 17 marzo parlano solo i politici, e per dirne male.
«Un mese prima delle Olimpiadi la gente pensava ad altro. Poi è arrivata la fiaccola… Non dico che il Centocinquantenario sia la stessa cosa, ma anche qui ci vuole il momento topico, la festa, la notte bianca… Come avrebbe detto Lenin? La scintilla».

E con la citazione di Lenin ci siamo giocati anche Meloni e La Russa.
«Per adesso la festa c’è ancora. Farò un appello all’italianità di tutti i sindaci affinché chiedano con decisione che la scintilla non venga spenta: portiamo o no a tracolla una fascia tricolore?»

L’appello vale anche per i sindaci leghisti?
«Ne ho conosciuti che si dissociano come padani, ma aderiscono come alpini…»

E gli altoatesini?
«Ah, il rifiuto di festeggiare del presidente della provincia di Bolzano è un gesto parasecessionista che urla vendetta. Lo sa che di tutte le eccedenze prodotte dal Nord, più del 40% finisce alle regioni a Statuto Speciale? Prendono i soldi dall’Italia e fanno i Radetzky. Vadano con gli austriaci, allora!»

Con tutta la più buona volontà, un altoatesino non può sentire l’Italia come un torinese. «Vero, noi siamo più coinvolti anche dal punto di vista materiale. Tutto il pacchetto Torino costa 50 miliardi. Per questo ripeto: senza festa, lasciamo perdere».

Tutto?
«Certo non posso staccare i quadri dalle pareti delle mostre con il piccone, né sospendere l’adunata degli alpini o la tappa del Giro d’Italia. Ma se si decide che il 17 marzo è un giorno come un altro, è il clima generale del Centocinquantenario che pende al ribasso. E chi ci ha investito del denaro e del tempo, con rispetto parlando, se lo piglia in quel posto».

Non resta che sperare in Berlusconi.
«Lo vedrò sabato, all’incontro con i vertici Fiat. E gli chiederò di difendere la festa».

Sia ottimista, signor sindaco: quando si tratta di feste, lui non è tipo che si tira indietro.