Beni confiscati in 6 punti

Di seguito l’intervento (e il testo) del relatore della Riforma del Codice Antimafia, Davide Mattiello, che illustra la parte riguardante i beni confiscati. due anni e mezzo di lavoro, e adesso la Riforma è in Aula a Montecitorio.

 

 

 

Grazie Presidente,

La riforma del Codice antimafia che ci accingiamo a discutere e votare è attesa da molti, molto e da anni. Il Codice Antimafia scritto nella precedente Legislatura, tra il 2010 e il 2011, ha rappresentato certamente un passo avanti importante, contribuendo senz’altro alla sistematizzazione della materia e alla messa a punto di strumenti fondamentali soprattutto sul fronte della prevenzione del crimine mafioso. Ma negli anni successivi alcune debolezze del Codice hanno generato guai, ai quali ci prefiggiamo di porre rimedio.

Prima di entrare nel merito della riforma, credo però sia utile affrontare alcune questioni generali.

Prima questione: la genesi del testo portato in Aula.

Giugno del 2013, la Legislatura era da poco cominciata, quando la Commissione Giustizia della Camera incardinò la proposta di legge di iniziativa popolare 1138 (abbinata ai testi Gadda e Garavini), per la quale grandi organizzazioni sociali come la CGIL, Avviso Pubblico, ARCI, Libera, ACLI, Lega Coop, SOS IMPRESA, Centro studi Pio La Torre, raccolsero centinaia di migliaia di firme. Dopo una prima fase di riflessione, di discussione e di raccolta di emendamenti, la Commissione Giustizia votò il Testo Base l’8 Ottobre del 2014. Un Testo Base, approvato a larghissima maggioranza che ampliava significativamente il perimetro di intervento dell’originale 1138, precostituendo gli addentellati di quello che a mano a mano sarebbe diventato l’attuale testo.

Parallelamente nell’Ottobre del 2014 veniva costituita la Commissione parlamentare Antimafia che, anche su sollecitazioni delle medesime organizzazioni proponenti la 1138, decideva di dedicare la prima inchiesta proprio alla questione della gestione dei beni sequestrati alle mafie. L’inchiesta della Commissione fu accurata e coinvolgente una vasta platea di professionisti e rappresentanti delle Istituzioni, a vario titolo coinvolti nella materia. La Commissione produsse una relazione che venne votata all’unanimità il 9 Aprile del 2014, con la quale si auspicava con forza la riforma del Codice Antimafia. La relazione della Commissione produrrà a sua volta due risoluzioni parlamentari presentate, discusse e votate a larghissima maggioranza in entrambi i rami del Parlamento. A valle di tutto questo lavoro la Commissione Antimafia elaborò e depositò sia alla Camera, che al Senato nell’Ottobre del 2014 ben due articolati di riforma, che alla Camera portano come prima firma quella della Presidente Bindi e che al Senato portano quella del Senatore Mirabelli.

Ancora: nell’Agosto del 2014 il Ministro Orlando portava in Consiglio dei Ministri un proprio disegno di legge di riforma del Codice Antimafia e di altre leggi collegate, qualificando ulteriormente l’azione politica del Governo su questo piano. Il disegno di legge Orlando verrà poi depositato in Senato nel Novembre del 2014.

Che fare, di fronte a tanta messe di proposte sostanzialmente convergenti?

Imperativo non sprecare e finalizzare.

In attesa di capire quale dei due rami del Parlamento avrebbe mosso per primo, la Commissione Giustizia, grazie al determinante impulso della Presidente Ferranti, ha ripreso a lavorare, avendo come punto di riferimento il Testo Base 1138 e proponendo di implementarlo, tenendo conto degli ulteriori contributi. A tal fine vennero fissati termini per gli emendamenti lunghi e reiterati e addirittura tra il primo e secondo termine, ovvero tra il Gennaio e la fine di Aprile del 2015, fu fatto un nuovo ciclo di audizioni, oltre ad acquisire tutto il materiale prodotto dalla Commissione Antimafia.

Nel Luglio del 2015 arrivò anche l’intesa tra i Presidente di Camera e Senato con la quale si decideva di far procedere per la prima lettura la Camera dei Deputati, riconoscendo che la Commissione Giustizia aveva la materia ad un più avanzato stadio di elaborazione.

Con sollecitudine quindi la Commissione Giustizia, d’intesa col Governo, ha ripreso i lavori al fine di elaborare i pareri sugli emendamenti e quindi votarli. Cosa che è puntualmente avvenuta, anche accogliendo diversi emendamenti delle opposizioni, con il dichiarato intento di portare in Aula il testo entro il 2015. E qui siamo.

Sicuramente questo iter è stato complesso, proprio per la mole delle proposte e per la delicatezza della materia. Ma di questa complessità ci siamo fatti carico, in primis la Presidente Ferranti, basti considerare che tra il voto del Testo base e i voti sugli emendamenti in Commissione, è trascorso un anno ed un anno trapuntato di audizioni e lunghi termini per la proposta degli emendamenti. Anche i funzionari della Camera, sia quelli della Commissione Giustizia, sia quelli della Commissione Antimafia, si sono prodigati senza riserve per favorire la intellegibilità delle varie fasi e per questo a loro rivolgo fin d’ora un cordiale ringraziamento.

Insomma: chi ha voluto partecipare, ha potuto partecipare. Come è giusto che sia.

Il percorso scelto da questa maggioranza in Commissione Giustizia ha anche messo in evidenza il valore speciale alla proposta di legge di iniziativa popolare 1138. Una valore che va rivendicato.

Lo rivendichiamo perché riteniamo che sia positivo far diventare quanto più è possibile le Istituzioni rappresentative veicolo della volontà popolare organizzata. Non ci appartiene il mito della democrazia diretta, tanto meno quello del “vincolo di mandato”, ma proprio nel ribadire il valore della rappresentanza in democrazia, siamo certi che il rimedio al deterioramento della qualità democratica passi anche da un più solido rapporto tra rappresentati e rappresentanti, all’insegna della reciprocità.

Lo rivendichiamo perché riteniamo che le organizzazioni sociali proponenti siano portatrici di quella forza culturale a cui nessuna legge dello Stato può supplire. Quella forza culturale che viene prima delle Istituzioni e che le rende vive, tanto che la nostra Costituzione la riconosce come fondativa della Repubblica, quella cultura che sa di coinvolgimento, di corresponsabilità, di impegno. E’ una cultura che si fa sapienza, sapienza che diventa coscienza popolare. Ed è questa coscienza popolare che presidia l’onestà delle condotte personali, molto più che la legge penale! La coscienza popolare che portava Placido Rizzotto a battersi da segretario della Camera del lavoro di Corleone contro campieri e mafiosi e che è la stessa, la medesima coscienza popolare, che anima la scelta di quei lavoratori e di quelle lavoratrici della cooperativa che a Quindici, Provincia di Avellino, hanno deciso di restare a lavorare dentro l’immobile confiscato al clan Graziano, nonostante le fucilate sparate contro i cancelli la notte prima dell’inaugurazione. E questo non è accaduto 50 anni fa, ma due settimane fa. Onore a questi lavoratori e a queste lavoratrici che rendono viva la Repubblica!

Ecco perché mi sento offeso da quanti generalizzando la portata di dolorosi comportamenti illegali individuali, criminalizzano pregiudizialmente le organizzazioni sociali, volendo vedere sempre e soltanto il marcio, la dove si punti a valorizzarne il coinvolgimento. Guai a fare di tutta l’erba un fascio! Abbiamo imparato quanto sia importante distinguere per non confondere. Certo, chi sbaglia deve pagare. Ma siamo lontani dal credere che la legalità possa essere fatta rispettare, puntando contemporaneamente a destrutturare e delegittimare l’organizzazione sociale. E poi, procedendo su questo crinale, cosa dovremmo fare ora che le inchieste giudiziarie mettono sotto accusa magistrati, prefetti e liberi professionisti, che hanno costituito il cuore del sistema della prevenzione patrimoniale? Un sistema che è stato fino a qui una punta di diamante nel contrasto alle mafie. Penso al Tribunale di Palermo, che è arrivato a gestire oltre il 40% di tutti i sequestri in Italia, che ha fatto da apri pista e ha camminato sulle gambe di magistrati e professionisti che in anni difficilissimi hanno accettato di mettere la faccia nella gestione dei beni sequestrati ai mafiosi locali. Dovremmo forse diffidare pregiudizialmente dello Stato e di ogni sua articolazione, fino al punto da paventare inciuci-a-prescindere, ogni qual volta si preveda il coinvolgimento di qualcuna di esse? NO, mai! Dovremo piuttosto continuare con pazienza e coraggio e tessere responsabilità e partecipazione, trasparenza e legalità.

Seconda questione: a quali bisogni risponde la riforma

La parola chiave è “organicità” come ha più volte richiamato la Presidente Bindi. Il primo bisogno è quello di superare interventi estemporanei e asistematici, perché contro le organizzazioni criminali, ci va sistema.

Chi delinque lo fa per arricchirsi indebitamente, colpire la ricchezza prodotta illecitamente oltre a colpire chi quella ricchezza ha generato, produce risultati di gran lunga superiori. Questi risultati si ottengono attraverso l’istituto del sequestro, di prevenzione, penale e penale allargato per sproporzione. C’è bisogno di rendere questo istituto sempre più affilato da un lato, ma anche tutelante dall’altro, consapevoli di quanto sia devastante per la vita di chi ne sia colpito: da qui gli interventi volti a rendere più veloce e certo il procedimento, più ampia la platea dei soggetti complessivamente coinvolgibili sul piano passivo e coinvolti su quello attivo, più chiara la tutela dei terzi creditori. L’altro bisogno grande è che l’oggetto del sequestro non si trasformi in un fallimento per lo Stato. In questi anni abbiamo contato troppi beni immobili andati in malora, troppe aziende fallite, troppi posti di lavoro persi. L’esperienza ha insegnato che soltanto “in levare” si vince a metà, non basta togliere, se poi ciò che si è tolto non si trasforma in rendita per la società. Una sorta di risarcimento collettivo del danno che la criminalità produce. Quando nel 1995 Libera, coordinando una vasta rete di organizzazioni sociali, raccolse oltre un milione di firme per ottenere la legge sull’uso sociale dei beni confiscati alla mafia, adottò come slogan “la mafia restituisce il maltolto”. Appunto. Da qui gli interventi volti alla creazione di un Fondo di garanzia per i beni sequestrati e segnatamente per le aziende; una ampia e dettagliata delega al Governo perché realizzi ulteriori strumenti a sostegno delle aziende sequestrate; il potenziamento dell’Agenzia Nazionale per i beni sequestrati e confiscati alle mafie, che passerà sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio, con una maggiore coinvolgimento del MISE; il maggior rigore nella disciplina dell’amministratore giudiziario.

Certo, siamo consapevoli che a volte vengono sequestrate aziende che non sono imprese veraci, con una autentica capacità di stare sul mercato, sono piuttosto lavatrici di denaro sporco, per le quali non va sprecato un euro di denaro pubblico. Queste aziende vanno liquidate al più presto. Per questo sarà decisivo il vaglio tempestivamente realizzato dall’amministratore giudiziario. Per altro verso sappiamo che le aziende ancorchè capaci di stare sul mercato, quando vengono colpite da un provvedimento di sequestro subiscono un trauma, che si traduce spesso nel ritrovarsi terra bruciata attorno, con fornitori e clienti in fuga. Ricordo proprio su questo punto la lungimirante battaglia fatta dal compianto Prefetto di Trapani, Sodano, a sostegno della Calcestruzzi Ericina. Ed è proprio per superare questo trauma che si prevede fin dalla fase di sequestro la possibilità di accedere al Fondo di Garanzia. Nessun indebito condizionamento della libera concorrenza dunque, piuttosto un intervento equilibrato proprio a salvaguardia della possibilità per ciascun competitore di giocarsi la partita in condizioni di pari opportunità.

E veniamo ora ad una disamina dettagliata delle novità previste dal testo di riforma:

  • Allarghiamo il perimetro dei soggetti cui possono essere applicate le misure di prevenzione personali e quindi patrimoniali. Basterà essere indiziati di UNO DEI SEGUENTI REATI (non sarà necessaria l’abitualità)

418: chi favorisce la latitanza… penso al latitante numero uno in Italia che è Matteo Messina Denaro e alle chiare e dure parole della dott.ssa Principato… Ma Matteo Messina Denaro non è l’unico latitante la cui fuga è stata ed è protetta da personaggi più o meno insospettabili.

delitti contro la PA (314… 322 bis)

Rendiamo più severa la disciplina repressiva del caporalato prevedendo la confisca penale obbligatoria, l’applicabilità della confisca penale per sproporzione e l’estensione della responsabilità oggettiva dell’ente ex 231 del 2001

  • Introduciamo la distrettualizzazione delle misure di prevenzione patrimoniali, con la previsione di sezioni o collegi distrettuali dedicati La copertura immediata delle vacanze, relazioni periodiche sull’operatività delle sezioni da parte dei dirigenti degli uffici; obbligatoria la videoconferenza; le eccezioni sulla competenza possono essere fatte soltanto nella prima udienza…)
  • Il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo è titolare del potere di proposta
  • poteri di indagine potenziati con l’accesso al SID
  • il sequestro di quote totalitarie si estende alla totalità dei beni aziendali: questo risolve numerosi problemi applicativi eliminando incertezze; da oggi il sequestro di tutte le quote comporterà in automatico il sequestro dell’intera azienda (un problema enorme, perché quando il sequestro non comprende tutti i beni aziendali, l’azienda si blocca)
  • si potenzia il momento del sequestro (attuato dalla Polizia Giudiziaria) e si prevede prioritariamente lo sgombero in fase di sequestro ad opera dal Questore, salvi motivati differimenti disposti dal Tribunale
  • Si prevede espressamente che NON si potrà più giustificare la provenienza del denaro con l’evasione fiscale (!) sia per sequestro/confisca di prevenzione (in tal senso era la giurisprudenza), sia per il sequestro/confisca 12 sexies (eliminando le incertezza della giurisprudenza).
  • Viene equiparata (finalmente!) la gestione dei sequestri penali a quelli di prevenzione
  • viene rinnovato l’istituto dell’amministrazione giudiziaria, che si adopera quando non possano essere tutte integrate le condizioni per un sequestro: che prevede comunque lo spossessamento, ma a differenza del sequestro, la prospettiva è la restituzione al titolare, non l’ablazione. L’idea è che si possa entrare, bonificare, uscire e restituire. Controllando per qualche tempo.
  • Si aggiunge l’istituto del controllo giudiziario come autonoma previsione rispetto all’amministrazione giudiziaria. Misura che non prevede lo spossessamento, ma soltanto un controllo pregnante (con potere di accesso ampio). L’imprenditore che sia stato oggetto di una interdittiva antimafia e che chieda volontariamente il controllo giudiziario, sospende gli effetti della interdittiva.
  • si interviene profondamente sulla figura dell’Amministratore Giudiziario, dettando criteri stringenti di cui dovrà tener conto sia il Governo nel regolamentare l’iscrizione all’Albo nazionale, sia il Tribunale nel momento in cui dovrà in concreto nominare del a.g. (sistema di incompatibilità incompatibilità) anche evitando il cumulo degli incarichi .
  • il Prefetto, per tutta la durata dell’amministrazione giudiziaria, rilascia il nulla osta per l’informativa antimafia, a salvaguardia della prosecuzione del lavoro dell’azienda sottoposta a sequestro.
  • l’Agenzia si occupa dell’amministrazione del bene DOPO la confisca di secondo grado
  • Si disciplina compiutamente la gestione e amministrazione dei beni sequestrati prevedendo lo sgombero dai beni immobili delle persone “colpite” dal sequestro, con le opportune graduazioni anche per consentire l’immediato (seppur provvisorio) utilizzo di beni immobili. Si assicura, in definitiva, che i beni immobili non siano mai “abbandonati” e, per quanto possibile e con gradualità si anticipa la destinazione prevista dopo la confisca.
  • si prevede la relazione spartiacque sul futuro dell’azienda sequestrata: se ci sono le condizioni perché riprenda o prosegua l’attività, bene. Altrimenti si liquida. Nessuno spreco di denaro pubblico
  • si prevede l’allontanamento dall’azienda sequestrata del proposto e dei suoi familiari
  • Si crea il Fondo di Garanzia per le aziende sequestrate. E’ uno dei punti qualificanti del provvedimento, perché c’è la copertura ed è uno degli strumenti più attesi. Si prevede la delega al governo per creare un fondo anche per gli immobili sequestrati e confiscati
  • Crea i tavoli provinciali permanenti, convocati dal Prefetto: perché l’unione fa la forza e per noi legalità fa rima con partecipazione!
  • Prevede il coinvolgimento a titolo gratuito degli imprenditori del territorio nella valorizzazione delle aziende sequestrate. Se la collaborazione si protrae positivamente per 12 mesi, matura un diritto di prelazione.
  • rigorose norme sul rendiconto di gestione
  • Prevede la restituzione per equivalente quando la misura venga revocata, il bene debba essere restituito al proposto, ma sia stato nel frattempo destinato e la restituzione leda l’interesse generale. Una norma coraggiosa…
  • L’Agenzia può destinare anche direttamente ad enti e associazioni. Gli enti territoriali possono essere tra di destinatari delle aziende.
  • se facendo la verifica dei crediti, un credito bancario risultasse non di buona fede, la banca sarebbe “deferita” a Banca d’Italia: una norma di rigore che coglie un problema tante volte evidenziato, relativo al comportamento delle banche. Si disciplina secondo la più attenta e rigorosa giurisprudenza il presupposto che consente alla Banca titolare di ipoteca sul bene confiscato di ottenere parte di quanto prestato al proposto.
  • l’AG può essere autorizzato a pagare subito i creditori strategici. Altra norma a beneficio della continuità aziendale. I creditori hanno tempi categorici entro cui depositare le proprie richieste (entro 60 gg dalla confisca di 1°) e il Tribunale deve fissare udienza entro i successivi 60 gg: altra norma che va nella direzione della velocità e certezza. Si disciplina in modo più funzionale la tutela dei terzi creditori, con un procedimento che inizia non prima della confisca di primo grado e che prevede l’eventuale vendita dei beni confiscati per pagare i creditori solo dopo la confisca definitiva
  • ridisegna l’Agenzia: sposta il baricentro dall’Interno alla Presidenza del Consiglio; sede a Roma; direttore non necessariamente un prefetto; competenza tanto sui sequestri di prevenzione, tanto su quelli penali; fin dal sequestro la funzione principale è quella di garantire la gestione provvisoria del bene per evitare vuoti. Si prevede la delega al Governo per il potenziamento dell’Agenzia.
  • sequestri penali (ex 51 com 3 bis del CPP) e penali allargati (12 sexties) seguono le norme della prevenzione. Certezza del procedimento.
  • amnistia, prescrizione e morte del proposto, non interrompono il procedimento di confisca di cui all’art. 12 sexies dl 306/1992. E’ una disposizione innovativa particolarmente incisiva che accoglie gli spunti di un nuovo filone giurisprudenziale.
  • interviene sul Regio decreto n. 12 del 1941 e riforma l’ordinamento giudiziario prevedendo le SDS
  • delega al Governo per altre misure a sostegno della occupazione nelle aziende sequestrate, fatto sempre salvo il principio/presupposto di “solidità aziendale”

In conclusione…

Quando pensiamo all’inserimento nel nostro ordinamento delle misure di prevenzione patrimoniali non possiamo che riferirci alla legge 646, approvata il 13 Settembre del 1982, passata alla storia come legge La Torre, dal nome del suo primo firmatario, l’onorevole Pio La Torre. Non deve sfuggirci che quella proposta di legge venne presentata due anni prima, il 31 Marzo del 1980 (prime firme di La Torre, Occhetto, Rizzo, Violante), anche sull’onda dell’indignazione provocata dall’assassinio di Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio del 1980 e venne votata soltanto successivamente all’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto il 3 Settembre 1982 e dello stesso Pio La Torre, ucciso dalla mafia il 30 Aprile del 1982. Insomma: la storia della legge 646 è la storia di un Paese che ha trovato la forza di legiferare contro le mafie soltanto in mezzo al sangue, una storia che purtroppo conosciamo bene e che si ripeterà anche nel 1992, dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Una storia segnata oltre che dal dolore anche dall’amarezza per uno Stato, che per dirla con le parole di Giovanni Falcone, per fare bene la lotta alle mafie ha avuto bisogno di “morti eccellenti”. Ecco, approvando questa riforma, così lungamente attesa, noi diamo, di nuovo, un segnale diverso perché il potenziamento degli strumenti in mano allo Stato per aggredire il potere criminale mafioso avviene in assenza della spinta emotiva del “morto eccellente”. Avviene piuttosto sulla spinta di una consapevolezza ormai matura e diffusa, dentro e fuori le Istituzioni: le mafie sono tanto più forti e pervasive quando non sparano, quando non uccidono, perché non ne hanno bisogno. Siamo consapevoli che l’obiettivo delle mafie è quello di gestire denaro e potere nel silenzio e che il modo mafioso di stare al mondo passa prima di tutto dalla corruzione, dalla connivenza, dalle convergenze di interessi, come stanno dimostrando le più recenti inchieste giudiziarie da Roma a Bologna, da Reggio Calabria a Palermo. E’ un valore morale e politico rivendicare questa consapevolezza, che diventa anche un modo serio per onorare la memoria di chi invece ha dovuto aspettare la propria morte perché fossero prese certe decisioni. Questo è un fatto, un fatto innegabile. L’auspicio di questa maggioranza e del Governo è che questo fatto voglia essere condiviso da tutte le forze presenti in Parlamento attraverso il voto favorevole su questo provvedimento.

Grazie, Presidente

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