Il ministro Paolo Romani pare si sia arrabbiato. A quanto riferito non gli sarebbe piaciuta la presentazione di Agenda Digitale, un’inedita iniziativa che ha unito, per la prima volta, a titolo personale in un unico documento, moltissime persone che in questi anni hanno avuto a che fare con l’innovazione e lo sviluppo della rete Internet in Italia. Le ragioni per cui il Ministro si è adirato sono forse intuibili e, come sovente accade nella politica in Italia, sembrerebbero prevalentemente estetiche.
Il prestigio dei Ministri della Repubblica è infatti da noi calcolato con una strana unità di misura, che ha poche relazioni con i concreti risultati ottenuti e moltissima attinenza invece con la centralità del Ministro stesso nel dibattito mediatico. Vale molto di più, nell’attuale scala di valori della politica italiana, una sfuriata di Brunetta contro i fannulloni o un rogo di scatoloni pieni di documenti da parte del Ministro Calderoli in TV, che non qualsiasi concreto passo avanti della amministrazione, silenziosamente concordato a beneficio dei cittadini.
Così Romani, invece di infastidirsi per la sua inconsistente attività nei panni di Sottosegretario alle Comunicazioni, per le comiche assicurazioni sugli investimenti promessi, sempre poirapidamente smentite dai fatti, o per la generale incapacità della politica nostrana a mostrare capacità di indirizzo nelle scelte di sviluppo tecnologico del Paese, si arrabbia perché un folto gruppo di imprenditori di primo piano, mescolato a professori universitari, giornalisti, uomini di spettacolo ed esperti di rete, chiede alla politica di preparare nei prossimi 100 giorni una agenda digitale per il Paese. Nessuna invasione di campo, una richiesta normale, non un piano da extraterrestri per portare la fibra ottica alla Capanna Margherita: una forma di pianificazione dei percorsi di sviluppo che quasi tutti i paesi al mondo hanno. Quasi tutti tranne il nostro.
In un paese con un po’ di etica calvinista in più Romani si arrabbierebbe con se stesso, da noi invece il Ministro preferisce accennare al doppiogiochismo degli amministratori delegati di Telecom Italia, Vodafone, Wind e Fastweb che la mattina frequentano le stanze del Ministero litigando fra loro in ogni maniera possibile, e il pomeriggio invitano la politica italiana ad una maggior progettualità digitale dalle pagine del Corriere della Sera.
E, come sempre accade, anche in rete le discussioni su Agenda Digitale hanno imboccato gli usuali percorsi di ampia critica preventiva. Spaccare il capello in quattro alla ricerca dei doppi fondi nei quali sono celati gli interessi nascosti di questo o di quel soggetto è un altro degli sport leggermente deprimenti di questo paese. Difficile applicarlo in questo caso visto che si tratta di un appello generico, apolitico e senza grandi desideri di indirizzo. Il “fate qualcosa” strillato da Agenda Digitale è efficacemente rappresentato da questo grafico che Stefano Quintarelli e Francesco Sacco hanno trovato sul sito dell’ITU.
Si riferisce al 2010 ed illustra, nelle tonalità del verde, le nazioni mondiali con una agenda digitale per lo sviluppo del paese. Secondo questo grafico l’84 per cento dei paesi mondiali ne posseggono una, il 7 per cento la stanno per adottare, e i restanti sono solo la Libia, la Somalia e l’Italia. Davvero una poco invidiabile compagnia, ma evidentemente non sufficiente per acquietare la nostra grande verve di polemisti del sabato pomeriggio.
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