Relazione Mattiello

 

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Davide Mattiello ha presentato in Aula il testo della relazione alla modifica dell’Articolo 416 ter.

E’ un momento importante, una promessa fatta ai tanti che hanno visto in Davide la possibilità di portare alcune istanze in Parlamento. A partire dalla campagna ‘Riparte il futuro’ fino ad arrivare ad oggi.

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Qui di seguito il testo completo della relazione

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Grazie Presidente,

onorevoli colleghi

 

La modifica dell’art. 416 ter che vi proponiamo di accogliere, è una buona modifica che fa fare all’Italia un passo avanti nel contrasto alle mafie.

 

Il lavoro della Commissione Giustizia è stato un lavoro corale, sottolineato dal voto unanime delle forze politiche. Un risultato di mediazione, certo, come lo sono sempre i risultati politici. Dobbiamo piuttosto chiederci se sia stata una mediazione alta o una mediazione bassa. Credo che sia stata una mediazione alta, sospinta anche dall’attenzione che la Campagna Riparte il Futuro, meglio nota come “dei braccialetti bianchi”, ha imposto e imporrà a tutti noi, avendo coinvolto 277 parlamentari e oltre 260 mila cittadini.

 

Entriamo allora nel merito di questa “mediazione alta”.

Detto che il nuovo testo corregge uno storico errore presente nella formulazione originaria (in riferimento al III comma del 416 bis); proporziona meglio le pene rendendole contemporaneamente severe e ragionevolmente applicabili; introduce al secondo comma il reato fine, con il che il mafioso sarà punito per la specifica condotta del “procacciare voti”; colpisce allo stesso modo la condotta del politico e di chi agisca come intermediario; due sono gli aspetti più rilevanti.

 

La nuova formulazione prevede le parole:

“CHIUNQUE ACCETTI CONSAPEVOLMENTE IL PROCACCIAMENTO DI VOTI SECONDO LE MODALITA’ PREVISTE DAL III COMMA DELL’ART. 416 BIS IN CAMBIO…”

Queste parole vanno a sostituire la precedente dicitura:

“CHI OTTIENE LA PROMESSA DI VOTI… IN CAMBIO”

Giurisprudenza e Dottrina con orientamento consolidato e maggioritario hanno stabilito negli anni che con la formulazione del 416 ter il legislatore abbia voluto punire l’accordo tra il politico e il mafioso. Meglio: abbia voluto individuare e colpire quella condotta per la quale il politico e il mafioso si incontrano, si riconoscono reciprocamente e manifestano la volontà di scambiarsi favori. Ovvero ancora: colpire la genesi dell’intesa tra politica e mafia.

 

Per questo la dicitura “PROMESSA DI VOTI” è stata ritenuta così importante nel chiarire l’anticipazione del penalmente sanzionabile al momento dell’incontro tra le volontà.

Noi dobbiamo chiederci se con la nuova formulazione abbiamo tradito questi intendimenti oppure no.

Se insomma questa nuova formulazione, non adoperando più le parole “OTTIENE LA PROMESSA DI VOTI”, ma le nuove “ACCETTA CONSAPEVOLMENTE IL PROCACCIAMENTO DI VOTI” , faccia un favore a politici corrotti e mafiosi.

Io ritengo di no.

A cosa alludono infatti queste nuove parole? Alla circostanza nella quale il politico o chi per lui, stabilisca volutamente (consapevolmente) una relazione con esponenti della criminalità organizzata di stampo mafioso e accetti che costoro si rimbocchino le maniche, attivando i modi previsti dal III comma del 416 BIS, per portare al politico i voti agognati.

Insomma la circostanza rimanda ancora e chiaramente al momento dell’accordo tra le parti.

Certo una descrizione rafforzata di questo accordo: la nuova formulazione insiste sulla consapevolezza che deve esserci nel politico o in chi per lui, di trattare con una organizzazione criminale di stampo mafioso, affinchè questa attivi le modalità III comma art. 416 Bis. Un rafforzamento a scanso di equivoci o come direbbe qualcuno a scanso di dolo eventuale. Ma soltanto di un rafforzamento in tal senso si tratta.

 

E a beneficio prima di tutto della mia coscienza voglio esercitarmi nell’assurdo di immaginare come invece si sarebbe potuto riscrivere questo articolo per svuotarlo di significato, spingendo a valle la descrizione della condotta penalmente rilevante.

Potrebbe suonare così:

“CHIUNQUE OTTENGA UN SUCCESSO ELETTORALE GRAZIE AI VOTI PROCACCIATI SECONDO LE MODALITA’ DEL III COMMA DELL’ART. 416 BIS IN CAMBIO…”

Se sciaguratamente la condotta penalmente rilevante fosse così descritta, in nome delle prudenze interessate tal volta ostentate, allora si, che si sposterebbe il baricentro della norma dal momento dell’accordo tra le volontà, al momento della produzione del risultato per cui questo accordo è stato stipulato.

Ma non è così e non sarà così.

Nessuno, voglio crederlo, in questo Parlamento potrebbe lavorare per un simile esito eversivo.

La nuova formulazione quindi da un lato rafforza la descrizione della stipula dell’accordo e dall’altra eredita tutta la elaborazione di Dottrina e di Giurisprudenza.

Quella medesima elaborazione, che forte di questo punto di vista, ha sempre inteso le parole “EROGAZIONE DI DENARO”, non descrittive di una dazione istantanea di denaro al momento dell’accordo, ma descrittive dell’impegno a ricambiare il lavoro della mafia a beneficio del candidato. Impegno che si realizzerà nel tempo e nelle forme sulle quali ci soffermeremo tra poco.

Cito su questo un recente e illuminante pronunciamento della Cassazione (I sez. penale nr 32820/2012, ric. Battaglia)

“E’ ormai prevalente l’opposta opinione che questo collegio ritiene senz’altro da condividere, secondo cui il reato di scambio elettorale politico mafioso (previsto dall’art. 416 ter cod. pen.) si perfeziona nel momento della formulazione delle reciproche promesse, indipendentemente dalla loro realizzazione, essendo rilevante, per quanto riguarda la condotta dell’uomo politico, la sua disponibilità a venire a patti con la consorteria mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell’impegno assunto in cambio dell’appoggio elettorale”

 

E vengo così al secondo aspetto rilevante di questa riforma: l’inserimento della parole “Altra utilità”.

Il politico o chi per lui, accordandosi consapevolmente con la mafia, si impegna a ricambiare lo sforzo di procacciamento con “L’EROGAZIONE DI DENARO” o con “ALTRA UTILITA’”

Precisato che la Giurisprudenza negli ultimi 20 anni ha già chiarito che il riferimento a “DENARO” debba intendersi come comprensivo di ogni forma di valore mobiliare (metalli preziosi, titoli di credito etc).

Precisato pure che sul piano sintattico il verbo “erogare” va inteso a sostegno della parola “denaro” e NON anche delle parole “Altra Utilità”.

 

Qual è il valore delle parole “Altra Utilità”?

Il primo valore è di ricomposizione storica: fu Giovanni Falcone ad immaginare la formulazione di quello che sarebbe diventato l’articolo 416 ter e Falcone lo immaginò proprio con queste parole. Parole che vergognosamente non superarono poi il vaglio dell’Aula: il 416 ter nacque monco, come spesso accade nel nostro Paese. Falcone aveva già allora un’idea molto chiara delle modalità del rapporto tra politici corrotti e mafiosi, sapeva bene Falcone che l’utilità cavata dalla mafia nel rapporto con il politico corrotto si traduce in appalti dirottati, abusi permessi e condonati, posti di lavoro, concessioni. Cioè nella perversione sistematica dell’attività amministrativa che, in forza dello scambio politico mafioso, viene orientata al soddisfacimento degli interessi degli “amici” piuttosto che al perseguimento dell’interesse generale.

 

Bene allora che nella mediazione “alta” che è stata trovata, queste parole non siano state in alcun modo aggettivate.

Non con la parola “indebita”, che ha un certo valore nel discernimento che va operato tra forme di corruzione e di concussione, ma non in questo caso.

Non con parole tipo “patrimoniale” o “economicamente valutabili”, che avrebbero puntato a restringere inopportunamente il tipo di utilità rilevante.

 

Bene perché intanto e lo ribadisco, la condotta che integra la fattispecie di reato è l’accordo consapevole tra le parti e non la effettiva dazione di voti in cambio della effettiva dazione di denaro o altra utilità. Insomma: i beni giuridici che vogliamo tutelare (libertà di voto e ordine pubblico) non sono più o meno offesi a seconda del tipo di utilità scambiata. Sono in se’ offesi dall’accordo consapevole tra i soggetti. Per tanto una qualunque aggettivazione delle parole “altra utilità”, richiamando eccessivamente l’attenzione sull’oggetto dell’utilità, avrebbe distratto, inducendo all’errore interpretativo.

 

Bene perché così proseguendo nell’argomentare, “l’altra utilità” messa dal politico ad oggetto dello scambio consapevole col mafioso, andrà intesa oltre che nella declinazione giurisprudenziale già richiamata, nella generale disponibilità del politico a procacciare, per adoperare anche per questi lo stesso termine che vogliamo adoperare per il mafioso, vantaggi diretti o indiretti per l’attività dell’organizzazione mafiosa. Per esempio il fatto che il politico dia un incarico pubblico a persona organica all’associazione mafiosa. O il fatto che il politico passi informazioni riservate, che aiutino la strategia dell’associazione mafiosa.

Insomma: il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, troverà finalmente in questo dispositivo, un saldo riferimento normativo e non più soltanto, la pure preziosa, elaborazione giurisprudenziale.

 

E così mi avvio alle conclusioni.

La riforma dell’art. 416 ter secondo queste caratteristiche, anzi che no,  pone nuovamente l’Italia difronte al bivio che più ha segnato fino a qui la nostra storia.

Che cosa sono le mafie?

Forme pervicaci di criminalità organizzata?

Dico provocatoriamente, magari!

Le mafie nel nostro Paese rappresentano più profondamente il rapporto irrisolto tra cittadini e Stato. Rappresentano il retaggio non vinto, non liquidato, ne’ sul piano culturale, ne’ sul piano organizzativo, di un modo di intendere il potere pubblico, pre moderno, anti democratico. Quel modo atavico, violento, brutale e semplice di intendere il potere per cui comanda il più forte. Perché? Perché è il più forte. Per fare cosa? Per trarre beneficio per se’ e i suoi. Quel modo fatto di branchi, bande, clan, tribù e clientele che nulla ha a che fare con l’interesse generale, con l’esigibilità dei diritti universali, con l’uguaglianza delle persone di fronte alla legge. Quel modo di intendere il potere che ha a che fare soltanto con due motori: l’avidità e la violenza organizzata.

 

In questo Paese in cui sono decine i Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, al nord come al sud, in cui amministratori onesti e coraggiosi come la Sindaca di Monasterace sono costretti a gettare la spugna, in cui lo sviluppo economico e il lavoro per i giovani sono sequestrati e affogati dalla prepotenza dei clan, in cui la testimonianza di chi denuncia è ancora un’eresia e non una normalità civica… noi dobbiamo decidere.

 

Noi dobbiamo decidere se adoperare anche lo strumento del diritto penale per colpire i nodi di questo sistema, se usare anche lo strumento del diritto penale per sanzionare l’origine della relazione oscena tra organizzazione mafiosa e potere pubblico oppure no.

Sapendo che è proprio colpendo il momento nel quale il veleno si getta nell’acqua, che preserviamo l’acqua come nutrimento fondamentale della democrazia. Quest’acqua si chiama trasparenza, imparzialità, autonomia della politica e della pubblica amministrazione. Soltanto così politica e pubblica amministrazione serviranno a perseguire l’interesse generale e a tutelare la dignità di ogni individuo.

 

Mi auguro che non si levino mai più e tanto meno in quest’Aula voci male intenzionate, che con sofismi articolati provino a negare questo stato di cose e le conseguenze delle stesse sul piano delle nostre responsabilità politiche. Gli “amici del giaguaro” sono sempre in agguato. Cito per pertinenza con il nostro dibattito, soltanto uno dei tanti odiosi esempi, un brano della requisitoria di Tito Parlatore, Procuratore Generale presso la suprema Corte di Cassazione, nell’ambito del processo per l’assassinio del sindacalista Salvatore Carnevale, nel 1965:

“Gli imputati non sono mafiosi, bensì portatori di una mentalità mafiosa. La mafia è materia per conferenze e come tutti i problemi sociali esula dalle funzioni della Corte di Cassazione”

 

Ecco il punto: il diritto penale deve colpire con precisione chirurgica condotte tipiche. Può essere una condotta tipica quella di chi intessa relazioni con persone di potere, quella di chi di chi ostenti in pubblico queste relazioni, lasciando intendere l’esistenza di un sodalizio, facendosi forte di questi vincoli, che diventano per un verso fonte di appoggio reciproco (una mano lava l’altra e due mani lavano il viso) e per altro verso fonte latente e continua di intimidazione ambientale?

 

Ecco il bivio: chi ha capito la natura del sistema di potere criminale di stampo mafioso sa che esso si genera, resiste e si espande proprio in forza di questo intreccio di relazioni che diventa di per se’ fonte di legittimazione, a-democratica e quindi anti-democratica, che riesce però a sfruttare cinicamente ed efficacemente gli strumenti della democrazia.

 

Traggo ancora una citazione, questa volta dalla requisitoria del Procuratore Capo della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli, nell’ambito del processo Minotauro, 2013:

“Lo specifico dell’associazione mafiosa è l’intreccio fra gangsterismo e così dette relazioni esterne, vale a dire coperture e complicità derivanti dal reticolo di interessi che i mafiosi sistematicamente cercano di tessere. Nessuna banda di gangster al mondo sopravvive oltre 40/50 anni. Se le mafie infestano il nostro Paese da oltre due secoli vuol dire che sono gangster, ma anche qualcos’altro. Questo qualcos’altro sono appunto le relazioni esterne, vero nerbo, vera spina dorsale del potere mafioso. Quel che consente alle mafie (come specifica l’art. 416 bis) di gestire o controllare attività economiche, realizzare profitti o vantaggi ingiusti, senza che occorra per la configurabilità del reato associativo la commissione di specifici reati diversi dall’associazione. Posto lo specifico dell’associazione mafiosa, diventa evidente che dimostrare l’esistenza di relazioni esterne equivale a dimostrare l’esistenza stessa dell’associazione mafiosa quale prevista e punita dall’articolo 416 bis

 

Ma a questo bivio, tante volte il nostro Paese ha colpevolmente scelto di andare dall’altra parte, di imboccare pavidamente la strada tracciata da Parlatore e tanti altri.

 

Quanto dolore e quanta sofferenza in questi primi 70 anni scarsi di Repubblica per liberare l’Italia dalle mafie, dopo averla liberata dal nazi fascismo e dalla monarchia.

Non possiamo dimenticare infatti che i balzi in avanti del diritto, i momenti nei quali l’Italia ha dato l’idea di voler scartare di lato e imboccare la strada coraggiosa del contrasto frontale alle mafie anche attraverso lo strumento del diritto penale, sono stati per lo più frutto non tanto di una scelta lucida e ispirata al lavoro dei migliori servitori del Paese, quanto di reazioni altisonanti e repentine, utili ad ammantare pietosamente un ineludibile senso di colpa.

 

L’approvazione del 416 bis, arriva con la legge Rognoni-La Torre il 13 Settembre 1982, il 6 settembre era stato ucciso a Palermo il Prefetto e generale dell’Arma dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.

L’approvazione del 416 ter, arriva dieci anni dopo, con decreto legge 8 Giugno 1992, il 23 maggio era stata consumata la strage di Capaci. La legge di conversione arriverà in estremis e mortificando il testo dell’articolo, come ho già ricordato, il 7 di Agosto, 18 giorni dopo la strage di Via D’Amelio.

 

Oggi noi abbiamo la possibilità di approvare una buona riforma, semplicemente perché è giusto farlo, perché la aspettiamo da oltre 20 anni, perché è un segnale che dobbiamo a noi stessi e a tutti gli Italiani: non ci arrendiamo, vogliamo le mafie fuori dalla storia del nostro Paese.

 

Coraggio!