Stato e Memoria: riflessioni a 40 anni dall’omicidio del Maresciallo Berardi

Domani a Torino si ricorderanno i 40 anni dall’omicidio del Maresciallo Rosario Berardi, colpito vigliaccamente alle spalle, in largo Belgio, la mattina del 10 marzo 1978, dalle Brigate Rosse.

La vicenda da un po’ di anni è ricordata dalla lapide di marmo, messa dal Comune, ma più in generale rimanda, come in un’altra serie di innumerevoli casi, al rapporto tra memoria e istituzioni, cioè al modo che uno Stato si dà per ricordare, oltre che i criteri per scegliere cosa e chi, inserire nella memoria ufficiale.

E’ questo il tema del libro scritto da Anna Mastromarino, docente di diritto costituzionale, dal titolo “Stato e Memoria”, appena uscito nelle librerie. La riflessione del saggio, come ci ha raccontato l’autrice, nasce proprio dall’analisi delle società odierne, in particolare quella italiana (ma non solo), sempre più plurale e di conseguenza complessa, certamente più oggi di quanto lo sia stata in passato. Quindi è compito dello Stato scegliere come fare memoria e quando, non è in discussione il fatto che sia legittimo. Certo, quali siano gli strumenti che vengono utilizzati per ottemperare a questa funzione, rimane uno dei nodi cruciali della questione. Le modalità fanno la differenza, nel bene o nel male. Non a caso, si individuano nel testo tre possibili modelli di memoria, che uno Stato può attuare. Un primo, quello antiquario, dove ci si rifà a una memoria antica e non divisiva, per evitare polemiche su questioni magari più recenti e non condivise (come a dire, intitolare una scuola a Giulio Cesare o Dante non può segnare contrasti!). Un secondo profilo, quello collezionista, dove lo Stato non volendo/potendo prendere una posizione precisa, sceglie di tenere insieme tante memorie, tutto e il contrario di tutto, non riuscendo a definire criteri precisi di priorità di conservazione. Infine lo Stato mediatore, che entra nella società plurale e complessa, non per schivare il conflitto, ma per gestirlo e addomesticarlo. In quest’ultimo caso, però, si presuppongono delle Istituzioni forti, la capacità di aver rielaborato e fatto i conti con il proprio passato, la volontà di porsi, da parte dello Stato mediatore, come il soggetto che è pronto anche a rimettere in comunicazione memorie contrapposte, fisiologicamente indisponibili a interagire.

In questa riflessione, sul ruolo delle Istituzioni nel rapporto pubblico con la memoria, rientrano non solo le leggi promulgate in questi anni (il 27 gennaio per la Shoah, il 21 marzo per le vittime di mafia, per citarne alcune note e a noi care), ma anche i musei, i monumenti, i memoriali che qui come all’estero, servono a conservare la memoria. Perchè è un problema che non si può eludere: qui come in Sud America, che si parli della tomba di Mussolini a Predappio, del Mausoleo di Franco in Spagna, della memoria del nazismo in Germania, o delle trasformazioni che si propongono a distanza di decenni per questi luoghi, magari con derive discutibili come quella che accompagnò l’idea di creare un monumento per Rodolfo Graziani, gerarca fascista definito il “macellaio d’Etiopia”.

Il tema, lo sappiamo, è stato più in generale oggetto di dibattito di questi anni, anche solo in Italia: basti ricordare la polemica sul padiglione italiano del Museo di Auschwitz, di qualche anno fa, o un recente saggio di Giovanni de Luna come “La repubblica del dolore”. Anna Mastromarino ha posto questioni, con la prospettiva del giurista, che interrogano molto del nostro agire, ma più in generale il senso stesso di fare politica nelle Istituzioni, dovendo legiferare e prendere posizione su questi temi. E’ un lavoro utile e stimolante, di cui certamente torneremo a parlare, speriamo presto e pubblicamente.

Domani mattina, alle 10,30, ci sarà la messa per Rosario Berardi, in corso Farini 26 e poi la deposizione di una corona di fiori, davanti alla lapide in largo Berardi.